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Il caso Franco Carlini PDF Stampa E-mail

Questo "dossier" nasce dal ritrovamento, penso casuale, da parte di Gian Paolo Guelfi del carteggio intercorso tra la direzione di clan e  Franco Carlini al momento della rottura e della "cacciata" dello stesso dal clan. Mi è stato chiesto di fare una piccola introduzione di inquadramento ma ...per uno come me che conosceva sì tutti gli attori ma non aveva partecipato nè attivamente nè passivamente all'episodio, la lettura del carteggio e dei commenti che sono sotto riportati ha rappresentato una esperienza che tocca i sentimenti più profondi perchè fa capire con quanta passione e con quanto impegno abbiamo cercato di applicare nella vita i principi, le regole, i valori del nostro impegno scout.

Anche per questa ragione, il caso "Franco Carlini" è stato inserito nella sezione "i frutti del clan".  

Enrico

 

Nell’attività di questi ultimi due anni tesa al recupero degli scritti, delle foto, della documentazione di quello che è stato per tutti noi il Clan Ge XXX, sono stati posti in evidenza in modo particolare tutti gli avvenimenti belli,  positivi,  anche divertenti, che sono accaduti nel corso degli anni tra il 1945 e il 1970 e che hanno caratterizzato la crescita del nostro Clan della Tortilla.

Ed è giusto che vengano messi in evidenza questo tipo di ricordi di questo nostro Clan, prima di tutto perché rappresentano la stragrande maggioranza dei fatti che ci sono accaduti e poi perché è umano che, invecchiando, si tenda a ricordare più facilmente gli episodi piacevoli della propria gioventù.

Anche un avvenimento tragicamente doloroso come la drammatica morte di Pier Luigi è stato poi vissuto in maniera forte come un’occasione per rafforzare il  legame e il senso di fraternità tra tutti i membri del Clan. E l’incontro annuale dei Certosini ne è la prova evidente.

Questo però non toglie che ci siano stati anche avvenimenti non facili da gestire, che hanno poi determinato scelte logiche e corrette, nel contesto in cui avvenivano, ma pur sempre dolorose, come possono essere tutte le decisioni che portano a ufficializzare una frattura tra fratelli che avevano fatto una lunga strada insieme.

E la vicenda di Franco Carlini è stata una di queste. La storia ha poi insegnato che questa vicenda traumatica ha comunque rappresentato un momento di crescita nel Clan e anche se questo non è stato avvertito subito, se ne è avuta evidenza negli anni successivi quando ci sono poi stati incontri di fraterno chiarimento reciproco.

Alleghiamo il carteggio intercorso, nell’Aprile del 1964, tra la Direzione di Clan (Bull era allora Capo Clan e Gian Paolo Guelfi aiuto Capo Clan) e Franco Carlini, carteggio che si conclude con la lettera di allontanamento di Franco Carlini dall’ ASCI (come si chiamava allora l’AGESCI) e di conseguenza dal Clan.

Questo carteggio è stato fatto circolare in questi giorni tra alcuni di coloro che all’epoca, in modi e forme diverse, erano stati coinvolti nella faccenda.

Riportiamo di seguito i loro commenti iniziando da quelli di Gian Paolo Guelfi (autore del recupero del carteggio) e terminando con quello di Bull (Ugo Salmona) che allora, in qualità di Capo Clan, ha firmato le due lettere.

 

Gian Paolo Guelfi

Franco Carlini è morto prematuramente pochi anni fa.  Era un giornalista, un divulgatore scientifico conosciuto e stimato, un uomo di sinistra coerente e limpido.  Uno scout.  Aveva percorso una “carriera” nel GE XXX°, era membro del Clan e faceva parte della comunità dei capi, era stato mio aiuto capo reparto nel NH nei primi anni Sessanta, con Enzo e Seba.  Studente di Fisica, negli anni in cui ancora vigeva la vecchia “rappresentanza” universitaria, il cosiddetto Parlamentino (il nome vero era Organismo Rappresentativo Universitario Genovese, O.R.U.G.) aveva aderito all’Unione Goliardica Genovese, che nella logica di richiamo alla politica generale del Paese allora vigente nella politica universitaria guardava ai partiti di sinistra, comunista e socialista, mentre l’Intesa (tra le associazioni cattoliche) in qualche modo si richiamava alla D.C., e il neonato gruppo Edelweiss ai liberali; il raggruppamento di estrema destra, F.U.A.N. era l’espressione universitaria del Movimento Sociale Italiano. 

L’adesione di Franco all’U.G.G., la sua elezione nel direttivo di tale raggruppamento, la sua candidatura nelle sue liste aveva fatto scalpore nel mondo dell’associazionismo cattolico, e destato scandalo.  Così almeno a noi, della direzione del Clan e del Gruppo, pareva, e questo era stato il motore principale della nostra iniziativa rispetto a quel problema.  Abbiamo avuto interminabili discussioni, in cui gli abbiamo chiesto di uscire dall’U.G.G. e dal suo direttivo, di uscire dalla lista elettorale.  Franco ha resistito alla pressione, e ha chiesto che le cose fossero messe per iscritto; così è stato, e quella che presentiamo qui è la corrispondenza tra la direzione di Clan e Franco, che documenta la inevitabile conclusione: l’espulsione di Franco dal Clan. 

La prospettiva storica rende l’accaduto di allora, in rapporto a quanto realmente accadde alcuni anni dopo, una vera tempesta in un bicchier d’acqua.  Non così fu percepita allora da noi, che la sentimmo come una vera sofferenza, un travaglio reale.

Se penso alle scelte che io feci pochi anni dopo (il Sessantotto, il passaggio nel gruppo de Il Manifesto –dove ritrovai Franco, fino all’adesione al PCI nel 1972) lo scontro del 1964, e i relativi tormenti di coscienza si mettono in prospettiva da soli.  E non posso non pensare ai percorsi che tanti altri fratelli scout hanno fatto nel campo delle scelte politiche e sociali, con onestà, lealtà e intatto spirito scoutistico negli anni che sono seguiti. 

Abbiamo pensato che a Franco la pubblicazione di questo carteggio la dovevamo, che era giusto rivisitarla anche in suo ricordo, nella considerazione della sua memoria e nel rispetto della sua coerenza di vita. 

 

Enzo Campodonico

Caro Gian Paolo, il commento che  hai fatto su Franco Carlini mi pare  equilibrato, scritto da uno come te, che hai vissuto un periodo di contestazione estremamente, a mio parere, esagerato.

Comunque è facile adesso, col senno di poi, valutare dei fatti.

E mi pare anche giusto rendere giustizia e memoria a una persona molto onesta che in quei tempi di belinismo collettivo, pensava di agire coerentemente.

Franco C. infatti era una persona entusiasta, che faceva al meglio tutto ciò in cui credeva.

Nel suo  curriculum scout ricordo la sua propensione alla attività di espressione e a quella di natura. Aveva anche partecipato ad un campo di specializzazione a Colico.

Mammo che era stato anche suo maestro dei novizi e in direzione nazionale a Colico lo aveva valutato eccezionale e era rimasto stupito dell' evoluzione (o involuzione) che in pochi mesi aveva subito Franco e molto dispiaciuto della sua cacciata dall'associazione.

Tuttavia mi pare che l'iniziativa presa a quel tempo dalla direzione di clan, anche se difficile e dolorosa, forse un pò prematura, fosse la logica conseguenza di punti di vista diametralmente opposti, e quindi corretta.

Purtroppo  in tempi immediatamente successivi, l'aver lasciato correre e adeguarsi al conformismo rivoluzionario, contestando i valori e cancellando quanto le associazioni cattoliche avevano costruito fino allora, aveva portato quasi all'annientamento delle stesse. Ma questo è un altro discorso che esula dall'argomento.

Concludendo sono d'accordo nell'inserimento nel sito della memoria di Franco e del relativo carteggio che tu  hai trovato.

 

Pier Giorgio Spotorno

Caro Gian Paolo, stasera ho avuto una lunga conversazione telefonica con Enzo, nel corso della quale mi ha raccontato del tuo desiderio di pubblicare sul sito del nostro Clan il carteggio (e i successivi commenti) relativi a quella che possiamo chiamare "la vicenda Franco Carlini".

Lasciami aggiungere solamente alcune parole: nel 1961 ho fatto il noviziato con Franco Carlini e insieme a lui (e con Mammo, nostro Maestro dei Novizi) ho partecipato a tutte (e dico tutte) le attività previste nell' anno: Riunioni, Uscite/Bivacchi, Noci, Campo estivo in Val Codera, Campo natura a Colico.

Dopo il noviziato tutti e due eravamo entrati in servizio nei Riparti (lui al Nick Holas e io al Franco Nanni).

Nel settembre del 1962, mentre partecipavamo al campo scuola di primo tempo a Voltaggio, siamo stati raggiunti dalla notizia della morte di Pier Luigi: abbiamo vissuto insieme anche quella tragedia.....

E tutti e due eravamo appassionati di "espressione" e di "natura".

Era un ragazzo d'oro, profondamente onesto, con un forte senso del dovere e con la convinzione che, qualunque cosa si dovesse intraprendere, la si dovesse completare nel modo migliore e il più completo possibile.

Come ha correttamente sottolineato Enzo, era un entusiasta e ha sempre trasferito questo suo entusiasmo in tutte le cose che faceva.

E forse proprio questo suo grande entusiasmo, oltre a essere un suo grande pregio, è stato, a volte, anche un suo limite....... 

Tu mi chiederai perché scrivo queste cose: semplicemente perche ho voluto bene a Franco Carlini e penso che si faccia cosa "buona e giusta" nel pubblicare il carteggio che hai recuperato: lo dobbiamo a lui e anche a tutti quelli (te compreso) che si sono trovati a dover gestire una difficile situazione che si è risolta infine (tenendo conto delle circostanze in cui si è svolta) in maniera logica e corretta anche se comunque dolorosa.

 

Mammo

Non ho vissuto la vicenda perché nel 1964 e nei primi mesi del 1965 ero ad Aosta alla Scuola Militare Alpina e non posso quindi dare un contributo diretto. Posso però dire che Franco era come l’avete descritto.

Erano tempi, quelli, di contestazione impietosa, nei quali c’era chi correva verso nuove strade, senza troppo chiedersi dove l’avrebbero portato e chi, per evitare guai, che intuiva senza averne la certezza, cercava di bloccare ogni movimento. Di lì a poco la contestazione sarebbe diventata generale e irrefrenabile.

Gli uni e gli altri si dividevano il torto e la ragione, come i fatti hanno poi dimostrato. Chi, senza avere responsabilità di lavoro o famiglia, aveva iniziato a percorrere strade apparentemente più aperte, senza chiedersi se erano percorribili da tutti, e cercava il meglio senza vedere pericoli e controindicazioni, mostrandosi incosciente agli occhi dei più. Chi invece temeva il nuovo e le sue conseguenze, non riusciva a vedere i cambiamenti ragionevoli da fare  e si bloccava in un immobilismo indisponente e colpevole per gli altri.

Pur con le migliori intenzioni si fecero molti errori distruggendo cose buone che avevano il solo difetto di venire dal passato e conservando cose superate e insostenibili per semplice paura del cambiamento. Così si separarono quelli che avevano percorso lunghi tratti di strada insieme e avevano condiviso esperienze memorabili.

Questo sul piano ideologico; sul piano personale ciò che ciascuno aveva appreso e aveva concorso a formare il suo carattere, restò. Franco fu sempre coerente, rispettoso degli impegni presi, conscio dell’importanza della formazione professionale e umana, pronto ad assumersi le sue responsabilità come giornalista, come divulgatore della cultura scientifica, come grande esperto di reti  e di comunicazione,  come consulente aziendale e apprezzato per questo da tutti.

Consentitemi un ricordo personale. La sera del giorno nel quale fu ucciso Guido Rossa, ci trovammo nell’auditorium di  villa Bombrini, sede dell’Italsider. Franco, giornalista, credo del Manifesto, seduto in una poltroncina in prima fila, io, rappresentante dei dirigenti della fabbrica nella quale lavoravo, sul palco, tra sindacalisti, politici, e cariche istituzionali. Ci salutammo, lui (forse stupito che fossi lì?) con il suo sorriso velato d’ironia che si spense quasi subito.

Eravamo in tanti, quella sera, a piangere, a recriminare, a inveire, a protestare, a promettere …. colpiti da quella uccisione brutale, dal sacrificio di un uomo che, per coerenza, aveva rischiato e persa la sua vita, ma non inutilmente.

Ora, parlando di Franco, tra i tanti ricordi, mi viene in mente quella sera nella quale, arrivati per strade diverse, ci siamo trovati ancora una volta vicini, e non solo fisicamente.

Da quando  ci ha lasciato, alla Messa di Pier Luigi, ai Certosini, lo ricordiamo insieme con tutti gli altri con i quali abbiamo percorso un tratto più o meno lungo di strada e che, per questo, rimangono con noi per sempre.

 

Bull

Credo che l’iniziativa di Gian Paolo di inserire nel sito il testo delle lettere a suo tempo scambiate con Franco sia decisamente opportuna.  In particolare, la presentazione di Gian Paolo del tutto serena e quasi “storica” mi offre lo spunto per dare il mio piccolo contributo ad inquadrare un periodo della vita del Clan che – se non vado errato – non appare in alcuna parte del sito e che, per contro,  mi sembra interessante perché  ha visto anni certamente non facili, ma altrettanto ricchi di  stimoli nuovi.

Proprio perché quel periodo l’ho vissuto e – mi si conceda il termine – l’ho sofferto anche in maniera diretta dapprima come capo clan e, successivamente,  come capo gruppo, vorrei aggiungere alcune brevi riflessioni alle testimonianze di Gian Paolo, Enzo e Pier Giorgio che, peraltro, condivido totalmente.

Anch’io ero molto affezionato a Franco perché era stato mio Lupetto per  4 anni nel periodo forse più bello e costruttivo del Branco.  Non è difficile immaginare quanto mi sia costato firmare quella lettera che formalizzava l’uscita di Franco dal Clan;  di certo era una decisione non evitabile,ma quanto avrei preferito (di certo egoisticamente) che a firmare quella lettera ci fosse stato qualche altro al mio posto!!!

In quegli anni il Clan era composto, per la stragrande maggioranza, da studenti medi o universitari; erano decisamente di meno quelli “più grandi” che lavoravano già (da ricordare che allora, la “Comunità Capi” non era stata ancora inventata).

Naturale – quindi – che in Clan arrivassero prepotenti  istanze nuove e suggestive di ogni tipo supportate anche dal desiderio di noi tutti di dare un taglio diverso, nuovo e forse più “politico” agli ideali  in cui tutti
credevamo.

Mi viene da pensare, certo esagerando  un po’, che in quei momenti il Clan, pur in maniera infinitesima, rappresentasse uno spaccato degli entusiasmi, dei timori, delle speranze e della confusione che in quegli anni stavano infiammando il mondo.

Credo di poter dire che ho sempre svolto il mio servizio di capo con impegno, serenità e gioia (qualcuno potrebbe controbattere che la mia lunga permanenza in Branco mi aveva abituato un po’ troppo bene) devo però riconoscere che, sotto questo aspetto,  fare il Capo Clan in alcuni momenti mi è pesato abbastanza. Mi sembrava, infatti, di non avere la forza e le qualità necessarie per gestire una realtà così complessa ove si confrontavano personalità  ed età diverse da cui, ovviamente, discendevano posizioni diverse a volte anche notevolmente distanti tra di loro.

Forse neppure io avevo le idee del tutto chiare.  In effetti il grosso problema di tutta la direzione era quella  di far crescere i singoli insieme al Clan e cioè evitare chiusure preconcette, sensibilizzare gli indifferenti, mettere in guardia da possibili strumentalizzazioni quei  Rovers  che, entusiasmati da certe idee, acriticamente estremizzavano le loro posizioni.  Ma non era cosa facile!

Se ricordo quante passeggiate da Castelletto a S. Nicola  chiacchierando con l’uno e con l’altro per cercare di capirci a volte ci riuscivamo, purtroppo altre volte no.

Diciamo che, talvolta, le riunioni ed i capitoli risultavano un po’ poco gratificanti anche perché, come sempre avviene in questi casi, i più loquaci tenevano banco ed era possibile che i  rimanenti  si sentissero esclusi; per contro, quando si realizzava qualche cosa assieme, tutto il Clan riacquistava la sua verve di sempre (Noci, Il Campo Nazionale Rover di Villetta Barrrea del  1964, le uscite e così via).

Quello di Franco Carlini ha rappresentato un caso che forse ha colpito maggiormente ciascuno di noi soprattutto per la particolare personalità di Franco stesso, ma dobbiamo ricordare che non è stato l’unico.  Alcuni amici hanno lasciato il Clan per fare esperienze altrove o perché delusi dal Clan e dalla Direzione alla quale imputavano di  non aver saputo o voluto recepire le loro istanze. 

A questo sono inevitabilmente seguiti momenti di imbarazzo e freddezza anche se ci sono poi state, magari anche molti anni dopo, occasioni di incontro e di fraterna comprensione reciproca.

 

Testimonianze redatte nel periodo Marzo / Aprile 2011

 

Il carteggio

1°lettera della direzione di Clan

Genova, 11 Aprile 1964

 Caro Franco,

le lunghe cose detteci possono effettivamente aver tolto dalla visuale la sostanza del problema che ci angustia particolarmente in questi giorni e da lungo tempo.

 Purtroppo sul piano delle valutazioni vi può essere una discordanza difficilmente colmabile a motivo delle particolari esperienze di ciascheduno.

Perciò, solo per obbedire ad un tuo desiderio, ti riassumiamo per iscritto la questione nella sua essenzialità.

L’Unione Goliardica Genovese aderisce all’Unione Goliardica Italiana: l’ASCI ci assicura che l’ispirazione predominante, per non dire esclusiva, di tale Unione è marxista e che tale ispirazione tende a strumentalizzare l’Unione stessa.

La tua posizione, che vorrebbe essere di testimonianza e di collaborazione nell’attuazione di cose concrete, può diventare così senza che tu lo voglia, strumento più o meno valido ed apparente per finalità che trascendono l’Università per inserirsi in un quadro più ampio, dove sono in gioco anche valori religiosi e morali. 

Questo non è documentabile in maniera assoluta, almeno per noi che scriviamo, ma è la conclusione a cui ci porta la nostra logica ed esperienza, e soprattutto è la manifestazione della fiducia che abbiamo, e che ti chiediamo di avere, in ciò che ci viene detto dalla nostra Associazione. 

Pertanto, anche in considerazione della fase formativa che tu attraversi nella Associazione, non ci sentiamo di poter in alcuna maniera considerare compatibile la tua adesione all’U.G.G., di esserne membro del Direttivo, e ei essere candidato nella lista dell’Unione Goliardica con la tua permanenza nell’ASCI. 

Perciò ti preghiamo, appellandoci ancora a quella fiducia che reciprocamente ci siamo sempre accordata, di notificare ufficialmente e pubblicamente il ritiro della tua candidatura, nonché le tue dimissioni dall’U.G.G. e dal Direttivo.

Se ciò non dovesse verificarsi nelle stesse forme in cui tali adesioni si sono manifestate, sarà per noi evidente la tua scelta e pertanto non ti potremmo considerare più quale membro dell’ASCI.

Mentre con tutto il cuore ci auguriamo di poter camminare ancora assieme, ti assicuriamo comunque la nostra amicizia.

 

Lettera di risposta di Franco     1° pagina      2°pagina

Genova 12 Aprile 1964

Caro Bull,

ho letto con attenzione le vostra lettera e per essere io stesso altrettanto preciso rispondo per iscritto.

In piena coscienza non posso acconsentire alla vostra richiesta di dimissioni, perché pur con tutta la buona volontà possibile non riconosco valide le motivazioni che l’accompagnano.  In questa situazione sentirei una mia scelta nel senso da voi auspicato non come un’obbedienza ma come un sottostare ad una imposizione sulla mia coscienza. 

Non credo infatti che l’ASCI si sia mai pronunciata nei termini da voi prospettati, anzi l’attuale situazione mi fa pensare che l’associazione sia piuttosto in una fase di ripensamento del problema.  Qualora comunque essa in maniera chiara ed esplicita (in questi problemi così delicati bisogna essere precisi se non si vogliono fare forzature) dichiarasse l’incompatibilità e l’antiteticità di una tale collaborazione, riprenderei in esame tutta la situazione.  Per ora, invece, credo obiettivamente che non mi si possa chiedere di obbedire e di avere fiducia in qualcosa di così poco chiaro e nebuloso. 

D’altra parte viene pure da chiedersi come mai non siate intervenuti prima a mettermi sull’avviso, quando si sapeva notoriamente come la pensassi e che ero iscritto all’UGG; non riesco a capirlo perché non credo e non voglio credere che siate intervenuti adesso per il timore della pubblicità del fatto. 

Comunque, per i motivi suddetti, e perché credo che veramente qui siamo nel campo dell’opinabile in cui sia io che voi ci possiamo sbagliare ed in cui la coscienza dell’uomo resta l’ultimo arbitro, non mi sento di consentire colle vostre posizioni, e d’altro canto non ritengo che il mio rifiuto di dare le dimissioni, così motivato, implicitamente significhi che io stesso scelgo di uscire dal Clan, per cui a voi non resterebbe che prenderne atto; anzi proprio perché non giudico questa contrapposizione reale, penso che il decidere o meno della mia permanenza o uscita dal Clan spetti alla direzione, cui chiedo quindi di riunirsi tutta e di decidere in merito, giacché io non me ne sento fuori.

Grato se vorrete comunicarmi ogni decisione che prenderete in proposito, vi riconfermo comunque la mia amicizia e la mia stima sincere.

                                                                      Franco

 


2°lettera della direzione di Clan   lettera originale

Genova 15 Aprile 1964

Caro Franco,

la tua risposta del 12 c.m. meriterebbe lunghe considerazioni che lasciamo, speriamolo, ad un tempo più propizio: oggi probabilmente verrebbero fraintese, come ci pare siano state fraintese molte delle cose che ci siamo dette e scritte in questi giorni.

Dobbiamo perciò limitarci a riconfermarti che con tua posizione attuale in campo universitario è in netto contrasto perlomeno con l’indirizzo che l’Associazione ha preso in questo campo, ed in particolare che la Direzione di Clan giudica tale tua posizione pericolosa per la tua formazione e per quella di altri.

Pertanto dobbiamo comunicarti, sia pure con grandissimo rincrescimento, che abbiamo deciso di considerarti fuori dall’A.S.C.I. conformemente a quanto ti abbiamo scritto con la ns. dell’ 11/4.

Nonostante questa decisione, saremmo veramente lieti che un tuo ripensamento, accompagnato da una revisione delle tue attuali posizioni, potesse in un domani permetterci di riaccoglierti nuovamente in Clan.

                                                          Fraternamente

 

Commento di Daniele Scarpati

Il mio primo ricordo di Franco Carlini è relativo proprio al periodo della sua espulsione. Ero un caposquadriglia dell'Abuna Messias, e col mio vice, Vittorio Fanchiotti, eravamo stati tra gli artefici della vittoria (ci sembrava importantissima) di una gara di espressione al San Giorgio regionale. Avevamo messo in scena la IX Satira di Orazio (Ibam forte Via Sacra...), detta “Il rompiscatole” dal traduttore Giovanni Mosca. Gli attori (2) erano, di fatto, mimi e il testo era letto da una voce fuori scena. Entrammo in contatto con Franco, che era un bravo mimo. Incuranti della sua fuoriuscita dalla Associazione, ci accordammo con lui perché ci facesse lezioni di tecnica di mimo. Ci vedevamo la sera, nella nostra sede dell'Olivella (avevamo le chiavi, perché eravamo più lì che a casa nostra, in quegli anni), e lui cercava di insegnarci. Non durò molto, eravamo negati. Ma,  perché lo facevamo? Noi, forse, per sentirci sovversivi; lui, perché non gli era passata la voglia di insegnare ai più giovani. Quello che si chiamava, allora, “trapasso delle nozioni”. Bellissima immagine, atto cardinale dello Scoutismo (e di ogni rapporto formativo, in fondo).

  Tante altre cose ho imparato da Franco, negli anni. Un po' quando frequentavo “Il Manifesto”, gruppo politico vissuto forse troppo poco. Parecchio quando è diventata mia abitudine ascoltarlo alla radio, come conduttore di Radio3Scienza (il migliore che la trasmissione abbia avuto) e di programmi monografici. Gli ultimi due che ricordo: uno sui formaggi d'Italia, uno sui comportamenti altruisti. Parlare (seriamente) di formaggio, vuol dire segnalare (sotto traccia) che cultura non è solo Dante e Petrarca, e i quattro che li studiano e ne scrivono e i non molti che ne leggono; è anche il lavoro, il ragionare, le infinite prove, che han fatto sì che dallo stesso latte possano venir fuori 100 formaggi diversi. La cultura, allora, è la vita della gente, non roba di pochi.

E i comportamenti altruisti: quest'idea sta prendendo, in qualche modo, un po' di spazio; ma si è sempre convenuto che l'uomo è egoista e predatore, che il mondo è una giungla, e che chi non delinque è quindi un raro esempio di dirittura morale e di virtù. Il fatto che essere altruisti e cooperativi possa risultare vantaggioso e conveniente, scardina l'autostima delle “brave persone”, mette fecondamente in discussione l'etica corrente.

  Ecco, queste sue tardive linee di ricerca, e certo molte altre in una vita da uomo di scienza, mostrano che persona era il Franco Carlini che io ho stimato ed amato: uno che cerca, esplora, e volentieri trasmette e condivide. Non un mestiere, ma una vocazione, certo maturata-anche-nel suo Scoutismo.

  I fatti del '64, forse, in quel momento, non potevano andare che così. Ma solo pochi anni dopo, non sarebbero successi. Il suo torto di allora era di esser due passi più in là, di non accettare una “regola” che, a conti fatti, era abitudine e convenzione.

  Mi pare proprio che Franco fosse, ed abbia continuato a essere, uno di noi.


 

 

 
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