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Parliamo qui di episodi particolari, iniziative, fatti per noi memorabili, accaduti in quegli anni dentro e intorno al Clan Pier Luigi Roggla.
Parliamo qui di episodi particolari, iniziative, fatti per noi memorabili, accaduti in quegli anni dentro e intorno al Clan Pier Luigi Roggla.

1966. Un servizio “fuori le mura”: il Campasso.

Il Campasso è un piccolo quartiere della periferia di San Pier d'Arena, dietro via Fillak, sotto il grande ponte dell'autostrada. Defilato,tranquillo, poche case, una chiesa. Il parroco, don Giovanni Gnecco, era in qualche modo imparentato coi Bartolini. Chiese a Giorgio una mano dai suoi amici Scout per costruire una qualche forma di aggregazione tra i giovani del quartiere.
Lo considerammo un servizio meno impegnativo di quelli nelle Unità del Gruppo, e vi dedicammo due neofiti (Daniele Scarpati e Gianni Marino, che con Riki Varallo, era uno dei due primi Rover nati e cresciuti nel 1° e, non provenienti dal 30°) e due coordinatori esperti ma sopraffatti da impegni di studio (Giorgio Bartolini e Sandro Boatti).
Non provammo neppure a formare una “squadriglia”, ma iniziammo a incontrarci informalmente con loro a chiacchierare, un pomeriggio alla settimana, e spesso la domenica si andava in gita.
Giocavamo a pallone (sempre inviso agli ortodossi dell'ASCI, sempre amatissimo da tutti gli altri ragazzi), facevamo dei ”grandi giochi” ben poco grandi, con cannette (cerbottane) o altro.
Alla fine non lasciammo niente di strutturato; però quei ragazzi, da “cani sciolti”, erano diventati un gruppo di amici. Poco, ma pur sempre meglio di niente.

1966. Dal fango di Firenze
   
Bello,vivido il ricordo di Matteo di quella avventura. La riferiamo con le sue parole; ci limiteremo, al termine del brano suo, a qualche correzione e precisazione.

“ Novembre 1966 sicuramente alluvione a Firenze, nonostante rassicuranti notizie via sottosegretario Bemporad che tendono a dirottarci verso paesini della Toscana da Firenze, dove, dicono, la situazione è “perfettamente sotto controllo”.
Parte lo stesso per Firenze una formidabile squadra composta da Giorgio Pescetto su R4, Tojo Gambaro, Enrico Bemporad, Antonio Medina, il sottoscritto e Daniele; si arriva verso sera tutti puliti, si incontrano tanti giovani che rientrano dal centro coperti di fango, ci sembra giusto allinearci per cui battaglia a palate di fango tra noi, suscitando sorpresa nei locali....quando siamo belli sporchi si prosegue verso il centro, dove capiamo le dimensioni del disastro!
Ci installiamo al Centro Soccorso Scout di via de Pucci, lavoriamo come matti, nel fango che copre tutto, a portare roba in giro a gente che non vede nessuno da giorni, conosciamo tanti bravi ragazzi e viviamo bene e contenti per 10 giorni, con molte avventure ed episodi buffi che verranno ricordati nel futuro con sempre miglior dettaglio; io che giro nelle strade ridotte a canali pieni di detriti di ogni genere e  con la mia 500 nuova fiammante riesco a forare ben 16 (sedici!!) volte, e raggrumo tanti strati di fango sopra e sotto che per lavarla al ritorno mi chiedono un sacco di soldi...
Si ritorna insieme a molti altri e altre diverse volte, si consolidano i rapporti con i fiorentini.
A Maria Luisa Giovannucci in primis, viene l'idea di fare uno spettacolo per raccogliere fondi e si fa, con un pullman che parte da Genova e rientra in nottata dopo recita dalle suore....E'  nato il Caracalla!!!”
Matteo contamina il ricordo di più viaggi e ne fa uno solo; nel primo, la macchina era una, la R4 di Giorgio Pescetto; alla guida Toio Gambaro (allora scout del 30°); con loro c’erano Matteo, Daniele, Orazio Brignola. Anche non considerando quest'ultimo, che diverrà uomo del 1° molto più tardi, quella spedizione era a maggioranza Ge 1°.
E nel viaggio di ritorno nacque l'idea di organizzare e portare a Firenze uno spettacolo di beneficienza. Fin dall'inizio, nell'organizzazione, il peso del  Ge 1° fu naturalmente minoritario, e accanto a parecchi di noi si raccolsero molti amici, vogliosi non di scoutismo ma di attività ”di spettacolo”.
Il “Caracalla” andò a Firenze, replicò in versione ampliata, mesi più tardi, a Genova, cambiò più volte la composizione della compagnia, esiste ancora, col nome di “Bye bye calla”.
A noi resta l'orgoglio di averlo concepito, in una notte di gelo, su una R4, in cima al Bracco.

1966. Natale a Santo Stefano

Per alcuni anni, Santo Stefano fu sede del Clan. Naturale, nel costume Scout, partecipare a qualche evento della vita della parrocchia. Quell' anno partecipammo alla Messa di mezzanotte. Avevamo adottato, al posto dei normali calzettoni kaki della divisa da Rover, calzettoni bianchi: piccola trasgressione, elegante richiamo del bianco del nostro fazzoletto. E' troppo probabile che l'idea fosse venuta a Marco Monteverde, da sempre “arbiter elegantiarum” delle unità in cui operava : forse inconsapevole portatore dell'idea di J. P. Sartre che, quando la sostanza diventa forma, quello è lo stile. E l' idea di stile è una di quelle qualificanti, nello Scoutismo!
In effetti, eravamo certo un bell' ornamento allo scalone che sale all'altare, in quella Santa Notte…
 
1967.  Natale a Tonno

Un'esperienza a suo modo intensa e strana. Un freddo incredibile, montagne di coperte sotto cui dormire, la chiesa spoglia e gelida, un rito forse un po' classista, coi doni portati dai molti di città ai pochi, sparuti residenti; e la novità di un evento condiviso col Fuoco di Castelletto, con rara approvazione di padre Marco, che sempre si adoperava per tenerci divisi…
Ma Tonno è un mito,  saldamente presente nella memoria del 30° e di tutti i suoi discendenti. Quel Natale fu per noi.

1968. Una veglia natalizia contrastata

Il 24 dicembre 1968, il nostro Clan con il Fuoco delle Scolte di Castelletto (anche stavolta padre Marco fu più liberale del suo solito) presentò una veglia, con tema " La Giustizia " .
Organizzata da " Pattuglie di Espressione" delle due strutture (per il Clan, conduceva Marco Sorrentino, assai propenso ad attività di spettacolo) , aveva uno schema semplice e chiaro: si apriva con esempi di palese ingiustizia presi dalla cronaca; si esaminavano diverse, possibili reazioni: l' obbedienza totale alle leggi, fino all'estremo sacrificio (Socrate, Gesù Cristo ), la disobbedienza non violenta (martiri cristiani, Gandhi, Luther King ), la violenza rivoluzionaria ("Che" Guevara, padre Camillo Torres); si concludeva evidenziando l' elemento comune a tutte le scelte presentate, che è il rifiuto dell'acquiescenza e la scelta dell'impegno.
Qualcuno tra il pubblico si indignò : padre Marco fu accusato di darci troppa briglia sciolta, di non educarci bene, di accettare che trasformassimo una veglia natalizia in propaganda politica, e che all'amore cristiano sostituissimo roba che non c' entra per nulla. Padre Marco ebbe buon gioco a smarcarsi: non era lui l' educatore e noi una marmaglia di ragazzi scapestrati, ma nello Scoutismo il processo educativo è interattivo, è progresso, crescita, in un lavoro comune. E questo è certo, a livello Rover. Anche noi, compatti, rivendicammo un ruolo di attiva, soggettiva partecipazione, e non di passiva, supina ricezione di contenuti dottrinari. Piace ricordare che la faccenda finì anche sui giornali : è stata forse l' unica occasione in cui la stampa si è occupata del Ge 1°…
Quaranta anni dopo, agli argomenti "di metodo" che usammo allora , ci piace aggiungerne uno "di merito".
“La nostra via, nella misura in cui deve essere una via verso Dio, non ci conduce verso l'alto ma verso il basso” (dal sermone per Natale di Dietrich Bonhoeffer del 17/12/1933). Noi che non conoscevamo Bonhoeffer, in quel Natale 1968, ne condividevamo istintivamente lo spirito: nella festa della famiglia, della pace, della nascita della speranza e del Salvatore, volgevamo lo sguardo in basso, ai membri della famiglia degli uomini più diseredati, più sofferenti, più defraudati di pace e giustizia; e pensavamo ai diversi modi di rimediare, e alle persone che li tentavano.  In coerente “stile Genova 1°”:apertura e ricerca.

La storia delle Cappellane

1- 1965: la ricostruzione
Nell' autunno di quell’anno, Raffi Guiglia con Giorgio Bartolini e Gianni Marino, visita una vecchia proprietà di famiglia, le Cappellane. E' una casa colonica con annessa stalla-fienile, giusto a metà di una strada sterrata e assai poco carrozzabile, che collega Lerma-località Cirimilla con Capanne di Marcarolo.
La strada segue, a mezza costa, a sinistra , il corso del torrente Piota. La cascina è poco discosta dalla strada, ha  davanti un prato molto grande in lieve pendenza, al termine del quale, al fondo di un piccolo dirupo, scorre il torrente ricco di laghetti anche piuttosto ampi e profondi, perfetti per una balneazione estiva. Raffi propone che il Clan si impegni nella ristrutturazione degli edifici , per renderli adatti a periodi di vacanza dei ragazzini della parrocchia di Santa Maria di Castello. Il clan si accolla l' impresa. Per due anni abbondanti, dal '66  a metà '68, tutto il nostro impegno si concentra su questo lavoro. Ogni bivacco si svolge lì  e in totale incompetenza di edilizia si lavora a rendere abitabili le Cappellane.
A un campo di Pasqua, lanciamo l' idea di invitare ognuno un amico: parteciperanno alla nostra vita al campo, e avremo il doppio di braccia, per qualche giorno.
Si decide anche di procurarsi un mezzo, per il trasporto di materiali e rifornimenti.
Racimoliamo un po' di soldi organizzando una festa da ballo, nella cisterna di Santa Maria di Castello. Si chiamò "Cisterna party". Per inciso, va detto che fu certo una forma di autofinanziamento assai atipica; e che i frati domenicani manifestarono larghezza di vedute (almeno per l' epoca) a permetterci un simile uso di uno spazio conventuale.
Con quei soldi in tasca, Raffi, Giorgio B. e Rodolfo Repetto partecipano dunque all'asta di una vecchia  jeep: già la seconda offerta supera la cifra disponibile, e si rinuncia. Ripieghiamo su una vecchia Millecento celeste di occasione, che farà a stento il suo lavoro per un paio d 'anni.
Quella Millecento, naturalmente, fu sfruttata al massimo; per esempio, venne coi tre Riparti al campo del '67, al passo Carpinelli. A modo suo, però. Ce lo racconta Matteo :
" Si va al campo con la Millecento celeste di Clan, io guido, Lionello ed altri a bordo…siccome il tubo di riempimento è staccato dal serbatoio, se si riempie troppo il serbatoio la benzina nelle curve trabocca fuori, aumentando il consumo a dismisura! Soluzione: con imbuto e prolunga, mettere cinque litri per volta da una tanica nel serbatoio, operazione da ripetere ogni pochi Km…ripetiamo l' operazione per 200 km e diventiamo sincronizzati come una squadra corse".

La macchina finirà abbandonata a bordo strada nelle vicinanze della Cirimilla. Si voleva tornare a recuperarla, ma poi nessuno ci pensò più. Spesso gli Scout facevano cose così, e forse le fanno ancora...
Alcune fotografie restano a documentare cos'erano le Cappellane. Nel nostro ricordo, la cosa più bella era la Cappella: ricavata in un piccolo vano d' angolo dell' edificio stalla-fienile, forse era stato porcile; aveva i muri bianchi di calce, e una piccola finestra in alto. Al centro, un altare di straordinaria semplicià: un palo di legno, che reggeva una enorme pietra piatta, grezza, irregolare ai bordi e alla superficie. Mai altare Scout fu più bello, per noi. Piace pensare che il progetto fosse di padre Marco; l' esecuzione fu certo coordinata da un genio dell'equilibrio.

2- 1968 : le prime Cappellane
In quell'inizio d' estate, le case erano in ordine, abitabili, ma vuote. Con una febbre del fare che è molto "Scout" Giorgio Alfieri e i due Bartolini si misero autonomamente in moto. Coinvolsero in poche riunioni organizzative qualche altro volontario: due "vecchie"  Scolte, Maura Baglioni e Chicca Sciaccaluga (che a suo tempo sposerà Giorgio B.), ed alcuni amici : Uberto Gatti, Viviana Gori, Lillo Macor, Lucetta Micheli. Anche questi ultimi due si sposeranno, e daranno progenie allo Scoutismo genovese.
Qualcuno sapeva che Monsignor Costa, al Morigallo, gestiva la dismissione degli arredi di una nave in disarmo. Si ottennero alcuni letti, molto lussuosi e ancor più pesanti. Con l' aiuto di Gianni Marino e la disponibilità di un furgoncino del babbo di Giuliano Basso, i letti furono portati rapidamente alle Cappellane. Intanto Paolo, forte di un elenco di una diecina di indirizzi di famiglie del quartiere, fornito dal parroco padre Gallione, reclutò in un solo pomeriggio otto ragazzini, mai visti ne' conosciuti, che il giorno seguente partivano per una settimana di soggiorno alle Cappellane.
La comitiva passò davanti al campo del Vogelenzang, che finiva quel giorno. Daniele, con subitanea decisione, invece di tornare a Genova coi suoi Scout, raggiunse il gruppo alle Cappellane.
Fu una settimana bella e strana, una specie di campo Scout senza regole ne' divise, ma cucina su fuoco a legna, fuoco la sera, canzoni, racconti paurosi per i più piccoli a cura di Paolo B., pallone, bagni al fiume, pesca di qualche povero pesciolino, e chissà cos' altro. Per esempio, il fortunoso, perfetto lancio di una mela da una casa all'altra, da parte di Giorgio A. e Daniele (furono correi, ma il lanciatore era Giorgio ) sulla testa di un ragazzino, Mauro Pezzone, che rispose gridando ripetutamente : " Federali! Sifilitici!". Scurrile, ma certo originale…
Tutto qui. E anche questo, nel nostro ricordo, non fu poca cosa.

3-1969 - Le seconde Cappellane
Stavolta ci fu più tempo per la organizzazione, e parecchia più gente reclutata, sia tra gli accompagnatori che tra i ragazzi.
Nucleo del Genova 1° : Daniele Scarpati, Gherardo Grondona, (con braccio ingessato da campo di Riparto precedente), Gianni Marino, Matteo Costaguta, Paolo Bartolini. E esterni, amici : Adolfo Profumo, Andreina Avalle, Carla Puppo, Chicca Sciaccaluga, Cristina Gambaro, Elena Battistini, Eugenio Paroletti, Francesca Scarfi', Lella e Luisa Felletti, Marco e Piero Biggio. E anche tre simpatici personaggi del quartiere, cooptati al nostro gruppo: Bruno Profumo,  Sergio Segalerba e Michele Baffa, da allora nostro amico per sempre; in primavera, aveva sviluppato un piccolo orto, attraversato da canalini di irrigazione, perché progredisse anche mentre non eravamo lì.
I ragazzini erano 15, delle età più varie, dall'asilo ai sedici anni. 6 erano femmine. C’era anche una famigliola, con tendina e due bambini.
Quell'anno, le Cappellane furono assai galeotte : in seguito si sposarono Daniele e Andreina, Gherardo e Cristina, Gianni e Francesca, Marco e Elena, Matteo e Carla.

1969-Vico Amandorla 
Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua (Don Lorenzo Milani)
L' operaio conosce trecento parole, il padrone mille : per questo lui è il padrone  (Dario Fo)
A queste due citazioni, forse datate, ma certo inesauste, va aggiunto l' esempio di Danilo Dolci, che nel '52, venticinquenne, giunse nei dintorni di Palermo (Trappeto, Partinico), vide lo sfascio morale e civile che l'opera congiunta di miseria e mafia producevano tra i ragazzi, e per prima cosa, aprì un doposcuola.
Così pensammo di fare anche noi. La frase che ripetevamo spesso, e divenne spontaneamente un motto,  era "dare la parola a chi non ce l'ha".
Nel novembre '68 , Giorgio A. e Giorgio B. passarono un pomeriggio a girare bar e  negozi della zona tra Castello e Sarzano, alla ricerca di una sede. Era quello, all'epoca, un quartiere disastrato: molto spazio era ancora occupato da macerie dei bombardamenti, la Facoltà di Architettura era di là da venire.
" Nuiatri cerchemmu un scitu…" diceva Giorgio A., col poco genovese che sapeva; e lo trovarono. Un locale, tre gradini sotto il livello della strada ( un basso, si dice a Napoli ), in vico Amandorla , breve, ripida stradicciola tra Stradone Sant' Agostino e via di Mascherona.
Due stanze e un cesso (difficile chiamarlo altrimenti; che anzi, poiché la tazza era rotta, la sradicammo da terra, la buttammo nelle macerie subito davanti alla porta,e ce ne piazzammo una intera). Imbiancammo le pareti, recuperammo un po' di tavoli e sedie, facemmo librerie da cassette di frutta dipinte di giallo e di rosso, e iniziammo.
Ogni pomeriggio c'erano diversi, dei molti coinvolti, a far lezione ai ragazzini; la sera, spesso, facevamo riunioni organizzative e un po' politiche. Volevamo intervenire sui “problemi del quartiere”, e in qualche modo intervenimmo. Scrivevamo a mano, coi pennarelli, certi nostri proclami.
Uno ad esempio fu la nostra protesta, perchè iniziavano i restauri di Castello ma non c'erano prospettive per vie, case, macerie. Padre Marco ci convocò furibondo; discutemmo, e lui ci diede ragione: prima vengono le pecore, e poi l'ovile. Ma non ci perdonò, proprio no, di averlo scritto su un manifesto attaccato accanto alla porta della chiesa!
Più utile e costruttivo fu certo aver coordinato un comitato di famiglie che, da tempo, lamentavano il ritardo in interventi strutturali sulla scuola Bagliano, cadente e pericolosa; organizzammo anche una manifestazione davanti a Tursi. Non eravamo sovversivi come ci piaceva pensare, ma il Comune intervenne sulla scuola. Fu un bel successo.
Il gruppo si sciolse a fine '70, esaurito da dissidi e contrasti “ideologici” paralizzanti. Ma quegli anni erano così...
 
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