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La storia siamo noi PDF Stampa E-mail
Di un'esperienza, di una “Storia” cui si è partecipato, qualcosa rimane dentro: idee, ricordi, fatterelli …. sentimenti. O anche niente.
Abbiamo sollecitato aiuti per avere nomi, date, luoghi …. il materiale della Storia.
Abbiamo anche chiesto, nell'occasione: cos'è stato, cos'è per te, nella tua vita, il Ge 1°? Cosa ti è rimasto?
Non abbiamo avuto valanghe di risposte; spesso ritrosia e pudore han cucito le bocche...
Ecco qui di seguito quel che ci han detto. Chi vorrà accodarsi, e dir la sua, è il benvenuto!
 
 

Retaggi e testimonianze

Sono nato nel 1951 a Ruta di Camogli.
Fin da piccolo ho dimostrato sempre interesse per la vita all’aria aperta e l’avventura sia in montagna che in mare.
Nel 1962/63 ho conosciuto il movimento scoutistico;  infatti la mia famiglia si era trasferita a Genova e mia mamma preoccupata di garantire la mia esigenza di vita all’aperto ha pensato allo scoutismo.
Sono entrato in un Riparto nuovo, nel quartiere popolare di Oregina, che si chiamava Ge1° Stella Polare ;  oltre al Capo Rino erano con me solo quattro scouts,  io ero il più piccolo.
Dopo alcune escursioni, finalmente arrivata l’estate ho partecipato al mio primo campo scout in una località a me sconosciuta: Voltaggio!!!
Solo al campo ho iniziato a capire cosa fosse veramente lo scoutismo e soprattutto il Ge 1°
Ho capito infatti che era una gran fregatura …. mi sono reso conto in fretta che erano più i doveri che i piaceri………  e poi Rino che lo menava a tutti con lo “ Spirito di Servizio” ……..   
E sì, lo spirito di servizio ………  è stata la più grande fregatura della mia vita ; Rino è riuscito a spiegarlo tanto bene che è diventato l’incubo della mia vita.
Il  Ge 1° è stato il momento più importante per la mia formazione personale. Ritengo senza ombra di dubbio di aver imparato più cose negli scout che a scuola …..  ciò era dimostrato dai risultati scolastici che a differenza di quelli scoutistici  erano particolarmente manchevoli.
Nel Ge 1° ho imparato a vivere ed accettare gli altri , a parlare, a cantare e anche un po’ a sorridere…
Alla soglia dei miei primi sessantanni  ora, grazie al Ge 1° e a tutti gli amici e non amici che mi ha fatto incontrare, non ho ancora del tutto imparato ad accettare gli altri, canto ogni tanto in silenzio, sorrido sempre troppo poco ……..  ma una cosa l’ho capita : il servizio verso gli altri, chiunque  essi  siano.
Carlo Fuselli

Francamente il Genova I nella mia vita, come vedi dall'appannarsi dei ricordi , non è stata una grande esperienza. Ero ormai molto impegnato negli studi universitari di ingegneria e, data la mia situazione famigliare , dovevo bruciare i tempi, non potendomi permettere di  stare sulle spese un giorno di più del necessario. Sono stato molto assorbito dall'università e la vita scout cominciava ad essere per me un diversivo che non potevo coltivare più di tanto.
I miei ricordi più vivi ed importanti per la mia formazione e per le amicizie che si sono formate e cementate risalgono di più al Clan Ge 30°e sopratutto al noviziato che ho vissuto con intensità e che ricordo con grande soddisfazione.
Il maestro dei novizi era Mammo Sampietro e la presenza di Giacomo Grasso, ai suoi primi passi da frate è stata molto stimolante sia dal punto di vista spirituale che civile e culturale.
Ricordo il campo (ndr: di Riparto? il Campo scuola?), diretto da Romano Acquarone.
Poi è stato creato il Genova 1°  e sono stato in servizio in maniera un pò distratta.
Checco Besio

Due o tre cose che hanno reso le prime Capellane un ‘esperienza unica e indimenticabile
La doppia - ora legale: per la mancanza di illuminazione e per rendere la giornata più corta e compatta si era deciso di mettere gli orologi ancora un’ora  avanti; così ci si alzava tardi e si andava a letto presto e soprattutto…, dati gli scarsi mezzi, si riducevano i pasti: panini al prosciutto  e una tazza di latte in tarda mattinata,  alle 4  merenda con pane e marmellata (dei Bartolini), e pastasciutta alla sera.
Finché un ragazzino, a cui non tornavano i conti, non ha detto, con il boccone fra i denti “ma,questa, adesso … cos’è?”
La strada
Daniele mi ha ricordato  le incredibili acrobazie che facevamo con la cinquecento per andare e tornare dalla Cirimilla per  fare la spesa. Credo di aver imparato in quei quindici giorni come salvare una macchina dalla distruzione evitando sassi, cunette , pozze e fossi.  Un vero divertimento!
I bagni nel fiume
Era il momento più bello della giornata , atteso con eguale entusiasmo da noi e dai ragazzi. Tuffi, nuotate e l’apparizione di laghetti dovuti alla perizia con cui Paolo Bartolini, seguendo la sua inclinazione che lo porterà lontano, costruiva solide dighe
Le fughe
Incredibilmente i nostri ragazzini, che non avevano mai messo piede fuori dal centro storico, hanno imparato presto ad  orientarsi tra boschi e sentieri e ogni tanto sparivano, per ricomparire qualche ora dopo, con un pugno di sigarette che  erano andati ad acquistare alla famosa Cirimilla e che erano costate loro  lunghe camminate. Ma già, in quei giorni, nessuna fatica sembrava fermarli .
Chicca Sciaccaluga Bartolini

Lo scoutismo mi ha dato molto e mi ha preparato fin da bambino (lupetti) ad affrontare la vita nel mondo migliore aprendomi a nuove amicizie e imparando a confrontarmi con gli altri. Tutti messaggi che mi sono portato dentro e mi sono serviti per il futuro!
Ho smesso dopo due anni e con il senno di poi mi spiace di essere uscito troppo presto.
Credo che il difetto di quei tempi era che i gruppi non erano misti come  adesso e questo ti impediva di avere un contatto con le ragazze e poterti rapportare con Loro.
Claudio Barbieri

Per me il Ge I è un giorno di freddo polare alle Cappellane; impossibile andar fuori a fare quello per cui eravamo lì;  stretti intorno a una stufa piccolissima, l'abbiamo tanto caricata e spinta, che è diventata  rossa, pensavamo che stesse per fondere; e avevamo tutti voglia di una sigaretta, e non ce n'erano; e ce le siamo fatte arrotolando carta crespa(verde, mi pare) intorno a pezzi di tabacco da pipa, trinciato grosso.
Il Ge I è Giorgio Alfieri, a un campo sulle Alpi Apuane, con le cosce strinate da uno scontro con la bombola di un fornelletto a gas, trasformatasi in lanciafiamme; caracolla per un pianoro desertico, le gambe ben larghe perchè non si tocchino, bende mal messe che pendono qua e là, sembra la scena di un film di Sergio Leone.
Il Ge I sono le cenette nella cisterna di Santa Maria di Castello, assai spartane, uno che legge, mentre  gli altri mangiano; e  legge”Lettera a una professoressa”.
Il Ge I è Franco Basso, l'unico che ho rivisto, qualche volta, della ventina di scout di cui sono stato capo; è diventato una bella persona, un professore di filosofia; chissà se gli sono servito a qualcosa, a lui e a tutti gli altri...
E poi, il Ge I è anche dove ho trovato moglie: campo di clan, Deserto di Varazze,s ettembre '67; ero di cucina, mi stavo sviluppando un fuoco; arriva questa ragazza, a far visita a un amico; chiacchierando un po' con me, mette legnetti nel fuoco; confusamente capisco, ma al destino non ci si oppone: siamo sposati da 38 anni, abbiamo 3 figli e 2 nipoti.
Insomma, per uscire dai flash back e provare uno sguardo d'insieme, il Ge I è i miei maestri(Marco e Raffi su tutti), i miei amici (Gherardo,Gianni,Giorgio,...), il mio stile, le mie idee. Altre persone, altre esperienze, naturalmente, mi han segnato; ma quelli erano anni cruciali ed io ero lì, quella era  casa mia: we be of one blood,thou and I...
Daniele Scarpati

Da lupetto ho avuto come “Chil” Giacomo Grasso che successivamente diventò padre domenicano. Come tale è stato poi assistente nazionale e nella redazione della rivista RS Servire.
Di Marco Monteverde capo reparto ricordo la flemma con cui all’alza bandiera pronunciava “San Giorgio” prima del grido del riparto “Italia!”. Ma anche le costruzioni “operaie” fatte usando bulloni e verghe filettate anzichè legature.
Suggestiva la “salita al Clan. Da Pino Soprano al Forte Diamante lungo il crinale Est. Ci avevate tolto le scarpe e legato i piedi a gruppo. Il clan aspettava sugli spalti del forte tirandoci zollate di terra e facendoci fare il giro nel fossato pieno di rovi. Ma l’emozione della cerimonia seria nella stanza dei “graffiti murali” alla luce delle torce non si può dimenticare, come il gusto delle lasagne che ci siamo spazzolati la sera stessa nell’osteria di Trensasco.
Per il San Giorgio del 67 ho partecipato al challenge in coppia con Claudio Barbieri: da Ponte X alle Capanne di Marcarolo a piedi.
L’auto di gruppo, una vecchia Fiat 1100 E “musetto” che Giacomo accudiva quasi come la sua favolosa Gilera 300. Neanche Giovanni Fanchiotti aveva altrettanta cura per la sua ‘500 che d’autunno tappezzava con foglie secche per non far vedere i buchi del pavimento!
Al primo campo di clan di Hautecourt (‘67), ai primi di agosto, nel convento era presente un archimandrita ortodosso. Per la festa della Trasfigurazione celebrò lui la messa. Le suore ci chiesero se potevamo unirci al coro come bassi. Ci siamo dati volontari in due, io e non mi ricordo più chi, che però aveva cantato col Cauriol e aveva una buona voce.
Ricordo le vigilie di Natale a Tonno in Valbrevenna. Per preparare la veglia di Natale (devo ancora avere il nastro della colonna sonora da qualche parte: Joan Baez, gli spirituals, “Comandante Che Guevara”) ci siamo trovati una sera a casa Fanchiotti. Al ritorno mi aveva accompagnato Gianni Marino in vespa, ma erano già le due di notte e mi beccai una lavata di capo dai miei.
Carlo Fuselli aveva fatto un ottimo lavoro con i genitori dei suoi scout. Appoggiavano bene l’unità, ed erano riusciti a disporre di una casetta sui bricchi (non ricordo più dove) come base appoggio per le attività del riparto.
E nel 73 (?) ci fu l’incendio nella chiesa di Via Vesuvio nel quale morì don Antonio Acciai. I corridoi della chiesa erano pieni dei mucchi della raccolta carta, andati a fuoco nella notte.
Quel che rimane
Per me è stato sfida, prova, superamento delle mie chiusure, del mio essere permaloso (... quando Marco Cominetti mi chiamava Elpidiota! O quando il piede tenero scalcinato, Andrea Di Raimondo, metteva in crisi la mia supponenza di capo squadriglia), è stato apertura di prospettive, di idee.
È stato anche sentirmi in sintonia, legato da un’amicizia che non ha bisogno della frequentazione, che è sperimentata, concreta, anche adesso che ti/vi scrivo.
Il Ge 1° è il motivo per cui poi sono stato scout nel “To Uno” (a Torino usano i numerali e non gli ordinali) dal 79 all’ ’83, nel Trieste 2° come capo gruppo, dal 94 al 99, e oggi nel MASCI.
Elpidio Caroni

Che strana, bella sensazione ricordare in casa di Daniele, con altri amici, i tempi del Ge 1°!
E che altrettanto piacevole effetto rivedere me, ora grassoccio e calvo, in quelle vecchie foto!
Direi senza esagerare che eravamo tutti: giovani, belli e prestanti. Trovo poi che la divisa scout(e anche quella”di riposo”nelle immagini di Hautecourt; maglietta bianca,fazzoletto bianco e nero ecc...) non ha perso il suo fascino.
Che dire su quei bei tempi del 1°...
Sicuramente mi viene subito in mente la graduale trasformazione rispetto al timido ingresso in Riparto nel Ge 30° Abuna Messias dal magico fascino dell'avventura, dei grandi giochi, del farsi un fuoco, montare le tende, cantare insieme ecc...in una graduale, lenta maturazione del nostro carattere in quanto diventati responsabili di ragazzi più giovani. (Apro una parentesi:io, tanto “responsabile”, che in una uscita di Riparto sul Caucaso sono riuscito a farci perdere nei boschi, di sera! Per fortuna tutto si è risolto bene. Fine parentesi).
Questa sensazione di avvenuta maturazione, anche se quanto mai rozza e imperfetta, credo di essermela portata dietro come un bagaglio non da poco quando, pochi anni più tardi, ho fatto come tutti l'ingresso nella vita vera, con la formazione di una”mia”famiglia e di un lavoro.
E cos'altro dire di quegli anni:   ...gli amici...!
Gli amici più cari me li sono fatti allora; anche se molti erano con me già da prima e continuano ad esserlo ora e così negli anni a venire!
Troppo aulico il discorso? Spero di no...sono sensazioni che provo.
E visto che l'ho buttata sul pomposo e sentimentale, concludo che oggi, guardandomi indietro, mi posso considerare, anche grazie a quegli anni nel 1°, un fortunato, un privilegiato.
E di questo ogni giorno ringrazio e (goffamente) prego.
Gherardo Grondona

Breve riflessione sul significato dello scoutismo
“...io adoravo i campeggi,le passeggiate in montagna,la vita all'aria aperta;e così feci la mia scelta”               
(Claude Levy Strauss)
Lo scoutismo per me non è tutto,ma...:
•    mi ha fatto conoscere e frequentare quelli che sarebbero diventati i migliori amici di tutta una vita condividendo con loro ogni gioia e dolore,senza per questo trascurare chi non era scout o guida;
•    mi ha fatto apprezzare la bellezza della vita all'aria aperta, dove cucinare, mangiare, bere, dormire, stare e cantare intorno al fuoco la sera, guardare la luna e le stelle, pregare in mezzo agli alberi e sulle montagne, in ginocchio sull'erba   (“i miei altari sono le montagne” - Byron);
•    mi ha insegnato a girare il mondo con la casa (tenda) e il letto (sacco a pelo, il primo dei quali fatto da una coperta da stiro cucita) sulle spalle, insegnandomi anche a portare  sulle spalle, nello zaino (talvolta pressochè importabile), tutto quello di cui potevo avere bisogno sia per il corpo che per lo spirito;
•    mi ha fatto coltivare l'arte di sapersi arrangiare in ogni circostanza, anche con poco o, talvolta, apparentemente quasi nulla a disposizione;
•    mi ha fatto scoprire l'importanza - e perché no - l'intima soddisfazione del servizio del prossimo, soprattutto se in difficoltà, dando un senso pratico al mio Cristianesimo;
•    mi ha fortemente e fondamentalmente condizionato nella scelta degli studi e quindi della professione che ne è derivata, condizionando anche molte delle scelte via via fatte e il modo di comportarmi nell'attività lavorativa, privilegiando sempre il servizio più che la giusta mercede...
Insomma,...è stato quasi tutto.
 Detto questo, con buona pace di tutti, mi corre l'obbligo di chiarire che quello che devo allo scoutismo, lo devo soprattutto al fatto che, facendo lo scout, ho incontrato e frequentato Daniele, Gherardo, Giorgio B., e poi P.. Marco, Marco V., Franz, Marco M., Vittorio, Giovanni, Claudio, Sebba, Sandro, Paolo, Rodolfo, Marco S., Giorgio A., Elpidio, Riccardo, Tonino, Mario, Michele, Andrea e molti altri.
Gianni Marino

Nel Clan diretto da Raffi, credo fossero gli anni ‘66-‘67, c'era voglia di  fare qualcosa di diverso.
A quell'epoca si respirava un “aria di rinnovamento” ed una speranza, senza incertezze, su un futuro senza ingiustizie e pieno di umana solidarietà. Era il periodo del Molo, del Concilio, delle prime contestazioni. In questo spirito intraprendemmo attività “ sociali” come la riorganizzazione di una sezione dell'Azione Cattolica al Campasso, nella periferia industriale di Genova e contribuimmo alla organizzazione di un centro di aggregazione per studenti stranieri.
In queste circostanze oltre a Giorgio B. c'era il noviziato, Sandro ”maciste” Boatti ed  un amico sardo di cui non si ricorda il nome. Ma il fatto più significativo di quel periodo fu la disponibilità di quel paradiso fuori dalle mura costituito dalla cascina delle Capellane, offerta da Raffi perchè si organizzasse una colonia estiva per i ragazzi del centro storico. L'impresa  è stata affrontata col tipico entusiasmo, un po' pressapochista perchè nessuno di noi era un capomastro, dei giovani volenterosi che eravamo. Mi ricordo decine di viaggi di piccole colonne di auto colme di improbabili masserizie, su una strada che sembrava una di quelle degli alpini n Albania, neve e pioggia, semiassi rotti nella notte silenziosa, l'elastico dello zio Sciappa (Gherardo Grondona orgoglioso nipote) che salva la R4-Pescetto con la cinghia rotta, sacchi di cemento, partite di pallone e discussioni su tutto.
La colonia? E i bambini? Vedi Daniele ….....
Aggiungerei che a quell'epoca parlare di argomenti sociali faceva colpo sulle ragazze molto di più di quanto non succeda “al giorno d'oggi” e quindi dopo aver tirato in ballo qualche amica ed amica di amica, non ci siamo più potuti tirare indietro e abbiamo organizzato la colonia.
Le prime Capellane hanno costituito la conclusione per G.B.e P.B. di una “partenza”in senso scoutistico. All'ultimo campo a Hautecourt si sono presentati, da borghesi quali si sentivano dentro,con una bella valigia anziché con il regolare zaino. Da quel giorno furono chiamati i RAGAZZI con LA VALIGIA.
Giorgio Bartolini

''c'era una volta ..........”
- ricordo con molto affetto quei giorni e non penso solo perche' si era giovani e spensierati ma credo che l'essere entrato negli scout mi ha dato la possibilita' di formarmi e maturare caratterialmente con maggiore celerita';
- nel mio quartiere (molo) a parte un campetto parrocchiale da pallone in ghiaia con due altalene non esistevano altre possibilita' oltre a scorrazzare tra le macerie di carignano o nei vicoli limitrofi in mezzo a contrabbandieri di sigarette e prostitute diurne (l'alternativa per me e mio fratello era di rimanere relegati in casa dove fortunatamente potevamo godere si di un terrazzo ma mancavano gli amici);
- con gli scout ho incontrato nuove amicizie e avuto intensi momenti di evasione, scoperte e divertimento;
- con gli scout ho conosciuto cosa vuol dire l'impegno e la parola data, valori (gia' assimilati in famiglia) come impegno, lealta' e altruismo ma con gli scout sono stati ulteriormente evidenziati e rafforzati;
- negli scout ho appreso l'arte di proporsi e di discutere con gli altri accettandone anche le critiche;
- in ultimo mi e' sempre rimasto bene impresso il motto degli esploratori "estote parati" che ancora oggi mi ripeto giornalmente:
Giuliano Basso

Nel  Ge 1° ho iniziato il mio scoutismo, nel Riparto Franco Nanni, nei primi anni ’50. La promessa, i campi, l’esperienza della vita di Squadriglia e poi il noviziato rover con Efisio Marrè come Maestro dei Novizi. Poi il Clan Stella del Mare con Ennio Poleggi Capo Clan. Eravamo un Gruppo piccolo con ragazzi, salvo qualche eccezione, che venivano dai vicoli del centro storico e dai quartieri di Oregina e via Napoli. Era difficile avere Capi e Aiuti per le unità: a quei tempi, si incominciava a lavorare presto, finito le medie o l’avviamento (chi se ne ricorda?).
Quando ci fondemmo con il 30° il mio scoutismo di giovane capo riparto assunse un’altra dimensione, un altro respiro, meno precario, meno affannato e la stessa cosa si può dire del Branco e del Riparto di S. Carlo, in via Balbi. L’appartenenza al 30° garantì direzioni robuste e, ai rovers, almeno a chi volle restare dopo la fusione, il Clan concesse di crescere , in modo molto più armonico e ricco di esperienze forti.
Il mio scoutismo, quello che più ha contato nella mia formazione personale, è colorato di “verde e nero”.
Alla fine della mia prima vita scout (ne ho avuta una seconda nell’AGESCI a fine anni ’70, primi anni ‘80) il destino volle che io tornassi al 1° a dare, per poco, una mano a Raffi, in Clan: ero appena laureato e stavo per partire per la Scuola Militare Alpina. Era il 1963. Alla prima Messa di Pier Luigi, c’è una foto nel Sito a dimostrarlo, ero in divisa con il fazzoletto “bianco e nero”!
Avendo caricato sul Sito la Storia del 1° ho constatato che negli anni a seguire furono ancora il centro storico e le zone collinari alle spalle di Principe a godere del servizio e del lavoro dei Capi del 1° : un ritorno alle origini, bellissimo e consolante per me che in quegli ambienti, con tanti altri, avevo servito con fatica e con gioia.
Mammo Sampietro

... dobbiamo cioè contrastare ancora una volta lo strapotere del capitalista Clan Ge 30° verso i proletari del Ge 1°, aggiungendo al sontuoso sito  i nostri modesti ricordi. …
Marco Oldrini

Cosa è stato il Ge 1°? Soprattutto una sfida, una specie di colonia (tipo Magna Grecia o New England, non Abissinia) da fondare, e dimostrare alla madrepatria (il Ge 30°) che ce l'avremmo fatta. Ce l'abbiamo fatta? Non saprei, forse no, ma non era per tutti questa stessa cosa.
Cosa rappresenta oggi per me? Poco in quanto Ge 1°, al netto di quello che invece rappresenta l'esperienza scoutismo e il mio servizio in branco che è molto. Non ci avevo mai pensato, ma oggi a distanza di secoli mi pare che "l'anima del Ge 1°" sia stata un po' deboluccia.
Marco Sorrentino

Questa domanda è più carogna, ma proverò a rispondere
Il primo grande regalo che mi ha fatto il Ge 1° è stato quello di venirmi a cercare: immagina una ventenne un po' introversa e molto critica con se stessa e cosa questo può significare per lei.
Il secondo regalo è stato aprirmi una porta verso amicizie, cose da fare, responsabilità da imparare a gestire, prima all'interno del gruppo e poi nell'associazione in senso lato.
Il terzo di essermi entrato dentro come una fucilata, perché a vent'anni è così e non come a otto, e di avere preteso un'adesione totale e coraggiosa.
 Il quarto, quello che mi fa adesso, di essermi rimasto appiccicato anche come un gran bel ricordo.
Un po' sdolcinato ma mi è venuto così.
Maura Chierici

... Cappellane e Vico Amandorla sono figli legittimi del clan Ge 1° (la colonia alle Cappellane era stata una proposta originaria di Raffi Guiglia, mitico capo clan. E proprietario generoso), e dell'esperienza del Molo. Oltre che, naturalmente, di Barbiana, de "il Gallo", dell'Isolotto, etc.
Mi sembra anche giusto, come fai tu, limitare il riferimento a vico Amandorla al racconto dei suoi esordi, senza entrare troppo nella cronistoria. Altrimenti sidovrebbe fare spazio a molti protagonisti; dimentichiamo le sorelle Letizia e Valeria Bianchi? E le tre Grazie? E gli amici (veramente si dovrebbe dire: "i compagni", ma ho una vecchia ritrosia) di Servire il Popolo, con Enzo Acerenza che diceva: "...e che cosa vuole il popolo? La lotta di classe ..."? Tra di loro, un caro amico che frequento tutt'ora: Antonio Manti. Per non parlare degli orgogliosi membri della gloriosa sezione Negro del PCI: Luigi Olivari,Dino, Carletto.
Con il contorno dei lottatori continui di Ravecca, che venivano a trovare i "Prevotti" (come eravamo chiamati, a motivo della nostra origine prevalente), per farci qualche lezione di rigore rivoluzionario (alcuni tra loro, giustamente, adesso si trovano al servizio permanente effettivo del Cavaliere, vedi Carlo Panella e Andrea Marcenaro). Ma, forse, come confessava Bruno Profumo (che manteneva i piedi in due scarpe, la nostra e la loro), ci venivano a trovare perchè da noi c'erano ragazze (compagne?) carine.
Tra i partecipanti alle seconde Cappellane, accanto ad alcuni nomi che non ricordavo, non trovo quello di Enrico Micheli. Non trovo il nome di Pasquale (ma non ricordo il cognome) che andava al fiume ripetendo con Mao: "imparare a nuotare nuotando"; lui che non era in grado di camminare senza stampelle.
Ripeto, comunque, che un riferimento troppo spinto a quello che abbiamo fatto in quegli anni sarebbe poco giustificato dalla destinazione della tua comunicazione.
Paolo Bartolini

Nel Ge 1° ho trascorso i primi 25 anni della mia vita; gli anni cruciali.
Quanti ricordi!!!
Da lupetto: l’entusiasmo del primo giorno di campo, a riempire di paglia il lenzuolo cucito a sacco, che sarà il giaciglio di tutte le notti;  e poi i momenti di malinconia all’ora del tramonto ricordando casa.Il mio primo “Grande Gioco” al mio primo campo, quando all’imbrunire, all’ora di cena era stato “rapito” Riki Varallo : che paura!!!
Da scout: la soddisfazione di CSQ. al campo di Perdioni per le tende sopraelevate costruite sugli alberi; vedere Elpidio, un mattino alla sveglia, uscire di corsa dalla tenda rovinando a terra dall’alto di due metri. Un bivacco invernale al Beigua, persi di notte nel bosco in mezzo a una nebbia da tagliare col coltello, dormire in un rustico semidiroccato trovato sulla nostra via ed arrivare finalmente al mattino sulla giusta strada coi piedi zuppi, dopo aver attraversato  i campi bianchi di brina.
E poi in Clan: sulla strada per andare alle Case Cappellane con la neve sino ai polpacci e gli stivali di gomma, dopo aver caricato all’inverosimile una slitta  trascinata  a turno, che si rovesciava ogni 30 metri. Il Campo estivo in Corsica, in autostop, con attese di ore, quando finalmente dopo mezza giornata, con Marco Sorrentino, praticamente digiuni ci ha caricato il furgoncino di un panettiere con un profumo di pane da svenire ........  
Ma soprattutto nel  Ge 1° ho avuto tanti maestri, ho conosciuto tanti amici, e certamente ho maturato l’impronta del mio stile di vita.
Riccardo Campostano

Tu mi chiedi che cosa è stato il GE 1° per me? Sarò sincero, non è stato molto significativo per me, perchè  ho sempre sofferto il distacco dal Ge 30°, al quale mi sentivo legato con entusiasmo. Entusiasmo che ritrovai andando via da S.Maria di Castello per approdare in Oregina.
Rino Di Pietro


 
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