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Intervista di Enrico Rovida a Pietro Lazagna sul Servizio extrassociativo nel 30° PDF Stampa E-mail

Il clan al tempo di Giorgio Spano

Quando abbiamo presentato, il 30 settembre 2023, il piano editoriale del libro su Giorgio Spano ai  “vecchi” del clan che si riuniscono ogni anno – quest'anno è 60esimo – ai Certosini ( casa Lombardini, Voltaggio) per ricordare Pier Luigi Röggla e gli altri fratelli scout che ci hanno preceduti nel regno dei cieli, tra i vari interventi di sostegno ci ha stupiti e lasciati un po’ perplessi quello di Pietro Lazagna, che chiedeva di aggiungere un’appendice in cui parlare di Andrea Canevaro e della Comunità del Molo (Ndr: Quartiere del Centro Storico di Genova vicino al Porto e a Porta Siberia) che negli anni ’60 era nata da una costola del clan e che aveva avuto un grande peso nella storia della comunità cittadina.

Non vedevamo infatti un collegamento diretto di quella “storia” con quella personale di Giorgio ma già nella discussione seguita all’intervento di Pietro emergeva l’opportunità di contestualizzare il “servizio” svolto dai rover verso Giorgio con una più ampia e generale attenzione verso i servizi realizzabili e realizzati a favore degli altri (vedi l’impegno verso la gente di Noci, o verso Rosanna Benzi, altro caso molto interessante) e della società civile, fuori dell’ambito tipicamente scout,

Mentre vi proponiamo l'intervista fatta a Pietro con la  quale abbiamo cercato di capire meglio il senso della connessione dell’esperienza di Giorgio Spano con lo spirito e il clima che si viveva nel 30° all’epoca del suo ingresso in contatto con il mondo scout, vi proponiamo una lettura dell’esperienza del Molo attraverso una presentazione scritta da Andrea Canevaro per il nostro sito.


Intervista a Pietro Lazagna (7-10-2023)

Caro Pietro, sabato scorso ai Certosini ci hai tutti sorpresi con la tua proposta di inserire nel libro che vogliamo dedicare a Giorgio Spano qualcosa per ricordare Andrea Canevaro e l’esperienza del Molo; a tutti quanti, così a primo acchito, è sembrato un collegamento quantomeno audace. Sarebbe quindi interessante se ci spiegassi meglio, adesso, qual’è stato il ragionamento per cui hai fatto questo collegamento

 Grazie caro Enrico per quest’opportunità di riflettere a voce alta con te e con altri di voi perché questa storia, la storia del clan, che io considero una telenovela a puntate, ha tanti momenti che sono legati tra loro, vuoi dal fatto che eravamo insieme scout vuoi dal fatto che eravamo tra noi molto legati, facevamo vita comune. Io ricordo le notti passate con Giorgio Alitta tra salita San Simone e via Amelia, che non andavano mai a dormire perché i discorsi non finivano mai; eravamo gruppi che, anche con grandi differenze di opinioni, amavano lo scambio e questo scambio arricchiva tutti. Io non ho mai passato le notti con gente omogenea a me ma sempre con fratelli e amici che avevano esperienze, famiglie, storie e scelte diverse. Eravamo però sostanzialmente accomunati da una fiducia nel nostro cristianesimo e nella nostra militanza umana. Mi rendo conto che alcune di queste esperienze sono difficili da trasmettere ad altri perché sono fatte anche di profonde emozioni che ognuno vive un po’ come può ma non sono facili da trasmettere.

 E tu dicevi che l’esperienza con Giorgio Spano si collega a questo clima, a questa impostazione…

 La storia comincia così: un giorno, durante la messa di campo, all’alzabandiera io ho parlato di Albert Schweitzer e dopo si avvicina una gentile signorina con suo padre e mi dice: “C’è un ragazzo che non può andare a scuola perché ha difficoltà motorie potreste aiutarlo?” Io ho portato in clan questo appello e tutti i compagni di cordata si sono dichiarati contenti quindi abbiamo organizzato, mi ricordo davanti a casa mia con Pierluigi, i turni perché questo sembrava una cosa del tutto semplice e normale.

 Chi c’era nel gruppo che ha un po’ “tirato fuori di casa” Giorgio?

 Non mi ricordo chi fossero i rover che parteciparono inizialmente a questo “servizio” perché io all’epoca facevo soprattutto vita in Branco. Certamente oltre a Pier Luigi c’era Franz Guiglia, bisogna chiedere a lui.

 E’ nello stesso periodo che è maturata la storia del Molo?

 L’esperienza del Molo è iniziata un po’ dopo quando io ero già ad Alessandria ad insegnare all’istituto magistrale, chiamato dal Preside professor Agostino Pastorino. Il corso prevedeva anche un tirocinio obbligatorio e io seppi che vicino ad Alessandria, a Bosco Marengo, c’era un riformatorio, o come si chiamava ufficialmente Istituto di Rieducazione, dove un padre domenicano amico di padre Marco Voerzio svolgeva attività di assistenza, il quale mi disse “perché non venite un po’ a fare compagnia ai ragazzi di Bosco Marengo?”  E così ho cominciato tutte le settimane a fare il tirocinio con le mie classi a bosco Marengo e siccome mancavano dei supplenti all’Istituto magistrale ho fatto chiamare Andrea Canevaro. Nel frattempo io avevo conosciuto, tramite il gruppo del Gallo, Nomadelfia di Don Zeno Saltini e quindi abbiamo organizzato una gita di pedagogia con le classi per conoscere l’esperienza e naturalmente siamo tornati entusiasti.

Quindi l’esperienza del Molo nasce da un’intuizione importante che avevamo appreso a Nomadelfia,  quella delle famiglie adottive. Nasce con Canevaro e con tanti di noi, Marco Monteverde, Raffi Guiglia, Sandro Baracico, Mario Timossi, Marco Cadolini, ecc. che hanno creduto in quell’esperienza e hanno provato a praticarla, talvolta con esiti buoni e talvolta con insuccessi. Il rischio faceva parte del rischio previsto e calcolato.

 Che collegamento c’è tra il clan e l’esperienza del Molo?

 il collegamento è quest’ansia di trasformare lo scautismo in una forma educativa vivace, intelligente, capillare e farlo diventare uno strumento utilizzabile per i problemi della società che ci circonda. Quindi con i ragazzi della scuola apprendisti di Sestri, con quelli del riformatorio, con quelli del Molo, ecc. La continuità sta quindi nella sensibilità per i problemi che incontravamo sulla strada. Non li creavamo noi i problemi, ci venivano addosso. Compreso Giorgio Spano, chè ci sembrava una cosa bellissima poter aiutare un ragazzo ad andare a scuola e non c’è stato mai nessuno che ha fatto la più piccola obiezione.

 Torniamo un po’ di più su Giorgio Spano e su come è stata vissuta la sua disabilità in rapporto con il metodo scout

 il rapporto con la disabilità fisica è sempre stato, dai tempi di Baden Powell, un rapporto positivo, tranquillo, anzi quasi una specie di specialità, vedi i reparti MT (malgré tout).

Un fatto così fisiologico che si dava per scontato che, per esempio, quando si andava a Noci sì doveva “camallare” (Ndr: camallo è voce genovese per indicare gli scaricatori del porto e in geerale i facchini) qualcuno. Noi avevamo assunto che le dimensioni di ciascuno di noi, sebbene fisiologicamente diverse, erano di uguale importanza.

 
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