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Campo di noviziato 1960 Ormea-Certosa di Pesio PDF Stampa E-mail

 Cronista Mammo Sampietro:

Nel 1958, lasciato il Riparto, diventai aiuto di Gianni Barbino, Maestro dei novizi del XXX.

L’anno successivo toccò a me, il 1 novembre 1959, accogliere i novizi del Clan. Ero il nuovo M.d.N. con Giacomino Grasso come Aiuto.

Era un bel noviziato. Elenco i nomi che ricordo nella speranza che altri completino la lista:

Maurizio Ameri, Sandro Bargetto, Franco “Pappus” Bertora, Francesco “Checco” Besio, Carlo Besta, Rino Di Pietro, Sebastiano “Seba” Geraci, Mauro Guerrieri, Andrea Montanari, Massimo Tondi, Luigi Levi……….......

Ci potevi incontrare così, lungo i sentieri della Liguria (il punto interrogativo nella foto è Luigi Levi)

 

 

 Oppure così, sul palco dell’Oratorio di S. Filippo ad esibirci con tutte le unità del Gruppo nel famosissimo e riuscitissimo “Zibaldino, zibaldone piccino di numeri di Espressione".

 

 

L'attività più importante dell'anno fu naturalmente il campo mobile: da Ormea a Certosa di Pesio.

Punto di partenza Ormea. Presa la strada, verso Chionea, si pernottò con le tende molto sopra il paese. Il giorno dopo si cominciò con la salita sul Pizzo di Ormea. Ad un certo punto fummo avvolti da un nebbione: ci liberammo degli zaini, sistemandoli tra le rocce in posizione sicura, per sbrigare la salita e ritornare rapidamente sui nostri passi. La cima, ci accorgemmo dopo, era vicinissima: ci arrivammo in poco tempo e lassù la nebbia si diradò lasciandoci scattare la foto di rito.

Rapida discesa e ripresa del cammino verso il Mongioie costeggiando, alla base del versante nord  del Pizzo,  alcuni cumuli di neve, resti di slavine (al limite di una di grandi dimensioni trovammo la carcassa di un grosso cinghiale travolto probabilmente in primvera).

 

 

 

 

La giornata si chiuse con il montaggio delle tendine e la cena a Pian dei Raschelli, vicino ad alcuni ripari di pastori. Nella notte si scatenò una bufera di vento e pioggia, tuoni e fulmini così violenta che, ben prima dell'alba, fummo costretti a spiantare le tende e a trovare rifugio nei ripari dei pastori. I ripari erano fatti da bassi muri  a secco coperti da lamiere ondulate sotto le quali ci si spostava quasi carponi o si stava sdraiati.


All'alba facemmo colazione e, tenuto conto che la buriana sembrava finita, riprendemmo il cammino
anche se le nuvole non promettevano nulla di buono Le tendine bagnate fradice pesavano un po’ di più. Eravamo in cammino da meno di un’ ora quando riprese a piovere intensamente. Le mantelle servivano a poco per via del vento. In lontananza, la cima del Mongioie sembrava un bersaglio per le saette: decidemmo di passare sotto il monte rinunciando a salirvi. A mezzogiorno non ci fermammo per il pasto, visto l’assenza di ripari, e continuammo il cammino sostenendoci con i viveri d'emergenza: cioccolato, fichi e prugne secche, latte condensato. La pioggia continuava arrabbiata e il vento ci ostacolava nella salita. Facemmo fatica a valicare, contro vento, il colle tra il lago Raschera e il lago Brignola per scendere in val Ellero. Sempre sotto la pioggia, ci abbassammo di quota fino a scorgere in lontananza, tra la bruma, il Rifugio Mondovì dove eravamo diretti.
Per raggiungerlo bisognava compiere un lungo giro a monte per attraversare sul ponte il torrente. Eravamo tanto bagnati e desiderosi di un tetto che, quasi senza consultarci, decidemmo di tagliare dritto a valle, per i pascoli,  guadando il torrente e puntando sul rifugio: l’acqua colata dalle gambe ci aveva ormai riempito gli scarponi  e di più non ce ne stava!

Al rifugio ci diedero uno stanzone  con i letti a castello, tutto per noi. Ci spogliammo nudi, ci frizionammo ben bene e ci rivestimmo con abiti asciutti (per fortuna i sacchetti di nylon nello zaino avevano tenuto). Alle quattro di pomeriggio facemmo pranzo e cena in una volta sola, iniziando con un ottimo primo caldo preparato dal gestore del rifugio. Vi ricordate come finì la giornata? Il cielo tornò azzurro, come solo in montagna succede, e noi, stese le tende  e tutto il resto ad asciugare al sole, organizzammo un torneo di bocce davanti al rifugio. Non ricordo la coppia che vinse ma, finito il torneo, appollaiati su un roccione come marmotte al sole caldissimo, scattammo una foto di gruppo che solo due ore prima non avremmo neppure lontanamente pensato di poter fare.

Il giorno dopo, dopo aver asciugato al  sole le ultime cose bagnate, abbiamo ripreso il cammino verso il Marguareis salendo al lago della Moglie  per poi scendere sul rifugio Garelli. Da lì al Pian delle Gorre (dove Seba perse l'orologio) per raggiungere in serata la Certosa di Pesio. Qui la parte mobile del campo si concludeva. Durante i  due giornifissi, per sdebitarci con i padri della Certosa, abbiamo fatto, per mezza giornata, gli ortolani: abbiamo trapiantato in un enorme campo, per fortuna già lavorato, un numero notevole di piantine, come in una catena di montaggio. Buco con il fittone, lungo i filari, deposizione della piantina, riempimento del buco dopo la sistemazione della piantina, innaffiatura: il ritmo era tale che, se non ti sbrigavi, mentre sistemavi le piantine gli addetti all'acqua ti scolavano allegramente.

  

 


 


 

 

 


 

 


 


 

 

 
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