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A cavallo degli anni 80, un gruppo di Rover del Clan della Tortilla ormai "svezzati" e accasati, si riunirono per una esperienza comunitaria di "campo estivo" con figli e consorti.

Io ho avuto la fortuna di partecipare  a uno di questi campi quando, nell’agosto 1980, su invito di mio fratello Gian Carlo, siamo partiti da Roma (con moglie e due figlie allora di 8 e 11 anni) con la vecchia Kadett caricata fino all’inverosimile, per l’avventura del Dan.

Dopo settimane di tempo splendido, quel giorno era nuvoloso con sprazzi di pioggia e abbiamo pure trovato nebbia fitta sul passo del Faiallo: all’arrivo, camminando attraverso il sottobosco  umido e scivoloso per raggiungere la casa, ho incrociato lo sguardo perplesso di Gabriella, mia moglie: però l’incontro con i vecchi amici e le loro famiglie ha cancellato tutto.

Gli ospitanti erano Angelo Pescio (Capo Campo) e Adriano Capelli (Aiuto Capo Campo) che si erano fatti in quattro per rendere il nostro soggiorno il più confortevole possibile (e ci sono riusciti veramente molto bene) mentre gli ospitati erano  Gian Carlo Spot, Flavio  Bozzo, Enzo Campodonico e il sottoscritto accompagnati dalle consorti e dai figli (otto in tutto) più la figlia di Bull e quelli di Adriano Mauri che, per altri impegni, non avevano potuto partecipare.

Insomma, un gran bel gruppo che ha incominciato ad agire e interagire, sin dalla prima sera, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.

Chiariamo bene il concetto: quando si dice agire si intende che Angelo, Gian Carlo e Flavio (lupettisti di lungo corso) hanno subito preso in pugno l’organizzazione dei ragazzini, definendo  gli obiettivi da raggiungere e il conseguente piano delle attività didattico/ricreative da sviluppare, mentre ad Enzo e al sottoscritto (esploratoristi di cabotaggio) è stata lasciata la più ampia autonomia sul lavaggio dei pentoloni e delle padelle (autonomia significava che potevamo decidere se lavare con l’ acqua calda, e in questo caso ce la dovevamo scaldare, o con quella fredda, usare o meno la paglietta, quanto detersivo impiegare, ma comunque non troppo,  ecc. ecc.).

Una settimana di grande fraternità tra gli adulti e di giochi (e grandi giochi) per i ragazzini, con gli indiani Shoshones come filone principale, il maxi gioco dell’oca disegnato e condotto da Gian Carlo, le partite a pallone con grandi e piccoli tutti insieme: il culmine e stata la giornata delle Olimpiadi, con tanto di arrivo della fiaccola, alzabandiera e distribuzione di medaglie ai vincitori. Quella sera, per festeggiare l’avvenimento, avevamo anche fatto la pizza nel grande forno esterno, e  le pentole e le padelle non sono mai state così sfavillanti……

C’è stata anche la “giornata dei parenti”: alla domenica infatti sono venuti a trovare i loro pargoli  i Mauri, i Salmona e pure qualche altro ospite di cui ora non ricordo il nome. 

Seguendo la tradizione, avevamo preparato il menù speciale della “visita parenti” che comprendeva anche i ravioli ordinati il giorno prima in paese: man mano che arrivavano gli ospiti ci rendevamo conto che il numero di ravioli pro capite stava diminuendo pericolosamente finché il rapporto finale si era fortunatamente assestato su un numero appena appena accettabile.

 Enzo, Gian Carlo e io eravamo stati nominati “primi addetti ai ravioli”, mentre agli altri era stato affidato il compito di intrattenere gli ospiti e seguire i pargoli. Al momento di scolare i ravioli ci siamo accorti che non c’era uno scolapasta adeguato per cui l’operazione di scolatura, dopo aver faticosamente trasportato il pentolone ancora colmo sullo spiazzo antistante la cucina, fu organizzata nel seguente modo: Gian Carlo e Enzo ai manici del pentolone per inclinarlo, io con il coperchio pigiato contro per favorire la fuoriuscita dell’acqua mantenendo però all’interno i ravioli.

Tutto bene per i primi 10 secondi poi, malauguratamente, il coperchio mi è scivolato spostandosi di una trentina di gradi: una parte significativa dei nostri preziosi ravioli finì sullo spiazzo in mezzo all’erba e al terriccio.

Non abbiamo avuto il tempo di provare panico: gli sguardi che ci siamo scambiati sembrava che viaggiassero alla velocità di una “banda larga”. Ci siamo mossi all’unisono, senza proferire parola e senza intralciarci gli uni con gli altri, raccogliendo con cura tutti i ravioli sparsi sul terreno, lavandoli “amorevolmente” sotto l’acqua corrente, rimettendoli al volo nel pentolone insieme agli altri e sommergendoli infine di sugo bollente.

Nessuno si era accorto di nulla  e abbiamo pure ricevuto i complimenti di tutti i commensali, cosa che ci ha inorgoglito, pur con qualche imbarazzo.

Nel proseguo del campo l’episodio si era poi arricchito di alcuni particolari “disdicevoli” sulla natura e sulle caratteristiche del luogo su cui erano caduti i ravioli, particolari che io  non ho mai voluto analizzare a fondo per paura di aprire degli scenari dove sai da dove si  parte ma non hai la più pallida idea (oppure l’idea c’è ed è fin troppo chiara …) dove puoi andare a parare ...

Ci sarebbe anche l’episodio della sera in cui ad Angelo Pescio, nel momento in cui stava coricandosi per il meritato riposo,  si appannarono gli occhiali a seguito di un imprevedibile e imprevisto, almeno da parte del Pescio, evento esterno, cosa che gli fece esclamare: “Beliscimo ragazzi, mi fate  morire  !!!!”, però anche questo è un episodio che è meglio non approfondire, se non altro in questa sede, lasciando semmai il compito ad apposita narrazione con più ampio respiro.

Infine, non si può parlare del Dan e non citare il torrente sottostante, con la pozza d’acqua, sempre all’ombra, che avrebbe fatto la gioia di pinguini e orsi polari: se uno vi si tuffava dentro e riusciva a sopravvivere al primo impatto con l’acqua e al successivo  minuto di apnea, poi il resto diventava più semplice e c’era persino qualcuno che sosteneva di averne tratto giovamento !!!!

 

       

 
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