Giorgio Spano, uno di noi

La storia di Giorgio Spano e di  come lui è diventato uno di noi, non era facile da scrivere. Giorgio ci ha tolto dall'imbarazzo scrivendola lui e noi ve la proponiamo.

Questa del sito è l’occasione per ringraziare gli scouts del Ge 30° che, a partire dal 1958, mi sono stati vicini.
Il racconto che ora farò si riferisce a quel periodo, quando fui dimesso dall’ospedale malgrado non avessi ancora la possibilità di deambulare autonomamente e quindi avevo bisogno di essere aiutato.
In quel tempo ero stato iscritto alla scuola d’arte professionale, sita in Piazza Fossatello, ma non mi sarebbe stato possibile frequentarla date le mie condizioni contingenti.
Fu a questo punto che il vostro aiuto di accompagnatori si dimostrò determinante.
All’epoca abitavo in Piazza Piccapietra, nel vecchio centro storico, mio luogo di nascita.
Il tragitto che separava la mia casa dalla scuola lo percorrevamo a piedi; questo lungo tratto di strada ci permetteva di approfondire la nostra conoscenza che piano piano si sarebbe trasformata in una meravigliosa amicizia.
Questo tragitto si era dimostrato per me una vera e propria fonte di arricchimento umano; era una nuova scoperta di un mondo fatto di racconti nei quali, voi giovani scouts, mi facevate capire quanto fosse importante il vostro impegno nello studio e nell’attività di gruppo.
Io avevo trascorso, fino all’età di 16 anni, gran parte della fanciullezza in ospedale e l’essermi trovato improvvisamente in un mondo totalmente diverso e sconosciuto, irto di difficoltà di ogni genere, mi aveva a dir poco spaventato.
L’avere incontrato lo scoutismo era stata l’occasione per scrollarmi di dosso tutte le paure e le sofferenze che avevo accumulate nella lunga degenza ospedaliera.
Il tempo passava e a un certo punto avevo capito che questa nostra amicizia era diventata ancora più profonda tanto da essere invitato al campo estivo di Miroglio (1959). Questo avvenimento, inverosimile quanto meraviglioso, mi aveva reso veramente felice.
A questo punto non posso non ricordare quei Rovers coraggiosi e temerari che mi avevano accolto al campo, anche se in veste di ospite.
Essi erano: il capo Riparto Beppe Marescotti che sembrava apparentemente burbero ma al contrario, molto sensibile e generoso; i suoi aiuti: Franz Guiglia, Alberto Guerrieri, il simpaticissimo Enzo Campodonico: tutti ragazzi altrettanto degni di nota per sensibilità e generosità.
Come dicevo prima, questo invito al campo, fu la premessa che mi portò, in seguito, a fare parte dello scoutismo.
Dopo la dolorosa esperienza ospedaliera era la seconda volta che mi allontanavo da casa, dalla mia amata famiglia che, con un po’ di apprensione ma grande fiducia, aveva dato il consenso affinché questa mia nuova esperienza si realizzasse.
Da parte mia c’era un grande entusiasmo nell’affrontare quella che si presentava come una nuova prova, poi pienamente riuscita.
Al campo estivo si respirava un’aria dove la lealtà e la fratellanza erano le protagoniste assolute: qui gli scouts dovevano approntare ed allestire il campo con i mezzi forniti loro dalla natura; per la prima volta nella mia vita avevo visto montare una tenda, costruire con dei tronchi d’albero la sala da pranzo, la cucina, il palo dove venivano issate, ogni mattina, con cerimoniale, la bandiera Italiana e quella del Riparto.
Queste costruzioni erano fatte ad arte e venivano tenute assieme da legature di spago intrecciate con maestria dagli scouts.
Al campo si svolgevano molte attività di carattere ludico-educativo che tendevano a mettere in risalto il comportamento leale di ogni scouts verso i componenti della squadriglia.
Poi c’era la parte religiosa, curata dal sacerdote (assistente) che era Don Mazzini, uomo di grande sensibilità e semplicità, ma soprattutto quello che sorprendeva era la sua ricchezza interiore e quel modo di vivere il Vangelo con una facilità disarmante.
Ricordo che, mentre celebrava la Santa Messa al campo, la sua persona assumeva un aspetto talmente soprannaturale che io mi sentivo immerso in una atmosfera piena di grande serenità spirituale.
A proposito di atmosfera: tra le tante cose che mi avevano impressionato ed emozionato, vi erano le serate trascorse attorno al fuoco, animate dalle scenette e dai canti eseguiti dai componenti le squadriglie; era questo il modo migliore per concludere in allegria la giornata vissuta pienamente, con grande impegno da parte di tutti.
Al campo di Miroglio seguirono (ero sempre ospite) i campi del Lago delle Lame 1960, Fenestrelle 1961 e Cantone Santa Maria (Val Brembana) 1962; dato che è passato molto tempo, potrei aver fatto un po’ di confusione nel ricordare date e località. Sarebbe interessante se quelli di voi che avevano partecipato a questi campi, mi dessero un aiuto e correggessero un mio eventuale errore.
Finalmente, dopo tutte queste esperienze, venni accolto in Noviziato e questo significava che ero entrato, a tutti gli effetti, a far parte della grande famiglia dello scoutismo.
Il noviziato aveva la durata di un anno e in questo periodo, noi Novizi, dovevamo fare varie esperienze e tra queste c’era la partecipazione ai vari campi estivi. Invece la mia prima grande esperienza da novizio fu nel 1962 a Bardonecchia in un campo invernale.
Il nostro maestro era Pierluigi Röggla. Egli per me era diventato la guida fondamentale poiché, con il suo esempio, mi aveva insegnato ad essere amico di tutti e fratello di ogni altro scout.
Avevamo come assistente il mitico Padre Marco Voerzio che, con le sue eccellenti lezioni di teologia, ci teneva incollati alle sedie nell’ascoltarlo; queste lezioni erano per noi un immenso arricchimento spirituale.
Il campo invernale, date le condizioni atmosferiche, si svolgeva in modo del tutto diverso dal campo estivo e, in questo caso, i partecipanti eravamo soltanto noi Novizi; le tende erano sostituite da strutture in muratura, i pasti si consumavano nel refettorio della <<Colonia Astigiana di Don Molino>> che ci ospitava.
Praticamente la nostra attività si basava, in prevalenza, nell’apprendimento dei valori umani.
Era anche l’occasione di vivere sette giorni insieme e quindi di cementare la nostra amicizia, con l’impegno di seguire una regola di vita, di avere un comportamento da veri cristiani che ci avrebbe portato a far parte dei Rovers.
Logicamente nel tempo libero molti Novizi si dedicavano allo sci; per me c’era a disposizione uno slittino e i giovani si divertivano a trainarmi in cima al pendio e poi scaraventarmi giù per la discesa; non vi sto a enumerare le tante sederate che davo sulla neve!
Vicino a noi c’erano delle Guide (tra queste Rita Secchi), ospiti anch’esse della Colonia Astigiana, le quali assistendo ai miei ruzzoloni si spanciavano dalle risa.
Tutte le volte che riuscivo ad arrivare in fondo alla discesa c’erano due novizi pronti a prendermi al volo, altrimenti finivo giù dal pendio.
A quel tempo, ovunque andassi, mi portavo dietro l’occorrente per dipingere e anche quella volta, seduto sulla neve, dipinsi sulla tela il paesaggio innevato.
Dopo il campo invernale, l’anno successivo 1963, partecipai al campo estivo di Voltaggio.
Ricordo che fui accompagnato al “campo” da Pierluigi con la sua potente Giulietta Sprint. Pierluigi che era un ottimo pilota, nei tratti di strada rettilinei, mi aveva fatto provare l’ebbrezza della velocità.
Quello di Voltaggio era il campo dei Lupetti dove, io e gli altri novizi, avevamo il compito di aiutare i fratelli Rovers a gestirlo. Gianpaolo Chierici era il capobranco (Akela).
L’età dei ragazzini era compresa tra gli 8 e i 12 anni, essi formavano il cosiddetto Branco. Al “Campo” i lupetti erano ospitati in una casa rurale.
Le varie attività, che si svolgevano all’aria aperta, consistevano in giochi improntati allo sviluppo della fantasia. I lupetti facevano del loro meglio per raggiungere i valori che consistevano nella ubbidienza, sincerità e fraterna bontà per poter diventare dei futuri buoni scouts.
Come dicevo noi Novizi svolgevamo un servizio che consisteva nel fare la spesa di generi alimentari, tenere in ordine la cambusa e cucinare i cibi. Il mio compito era quello di cucinare ed ero coadiuvato dai carissimi e validissimi Franco Manzitti, Paolo Tisalbo e Giovanni Fanchiotti.
Il nostro servizio era, a dir poco, molto impegnativo poiché dovevamo provvedere alla prima colazione, al pranzo, alla merenda ed infine alla cena, il tutto per 30 affamati Lupetti, inoltre il più delle volte c’erano delle variazioni nel menù a causa di allergie alimentari.
La cucina era stata costruita con delle pietre e progettata in modo tale che io, stando seduto, potessi cucinare agevolmente.
Per poter cucinare la pasta ed il minestrone per 30 persone, avevamo in dotazione un enorme pentolone e, a questo proposito, i miei aiuti avevano scavato un grande buco nel terreno che ci permetteva di avere lo spazio per accendervi il fuoco; ai lati di questa fossa essi avevano posto tre grandi tronchi d’albero, legati in modo da formare una piramide, con al centro una robusta catena scorrevole che aveva la funzione di sostenere l’enorme pentolone. Vi lascio immaginare la fatica che si faceva per colare la pasta (da tutto questo è facile dedurre che eravamo tutto il giorno in cucina).
Dopo una faticosa giornata veniva l’ora di andare a dormire e, felici di aver fatto il nostro servizio, intonavamo, insieme a tutti gli altri Rovers, la suggestiva ninna nanna (ula, ula, ula) che avrebbe contribuito a far prendere un dolce sonno ai nostri amati Lupetti.
Il campo estivo era stato un grande successo e tutti eravamo felici e contenti. Purtroppo, dopo circa due settimane dalla conclusione del “campo”, lungo la strada per Gavi, in un incidente con la moto, il nostro fratello Pierluigi perse la vita.
Questo grave lutto lasciò tutti sgomenti ed increduli, oltreché molto addolorati. Avevamo perduto uno dei nostri amati Rovers che lasciava dentro di noi un grande vuoto. Ora dal lontano 1963, tutti gli anni, insieme alle nostre famiglie, ci ritroviamo per commemorare Pierluigi, prima davanti alla croce eretta nel luogo dell’incidente per dire una preghiera, poi ci spostiamo ai “Certosini” e durante la celebrazione della Santa Messa ricordiamo, nominandoli uno per uno, tutti i fratelli Rovers e i cari e preziosi assistenti che, prima di lasciare la vita terrena, avevano tracciato per noi una strada piena d’amore e di speranza ed è proprio percorrendo questa strada insieme a voi che ho imparato ad apprezzare la vita!
Diventato Rover feci alcuni pellegrinaggi a Lourdes , prestando servizio come ascensorista nell’<<Ospedale dei sette dolori>> ed il mio compito era quello di organizzare e sistemare nell’ascensore le barelle e le sedie a rotelle con gli ammalati che venivano trasportati dai barellieri e dai nostri Rovers: essi dovevano essere destinati ai vari piani dell’Ospedale.
Una volta sistemati gli ammalati nelle loro camerate, le sedie a rotelle vuote venivano ricaricate nell’ascensore ed io, dopo averle sistemate nel vano dell’ascensore stesso, ritornavo al piano terreno dove trovavo in attesa altri ammalati che, a loro volta, dovevano essere portati ai piani superiori.
Questa operazione avveniva al mattino e al pomeriggio di ogni giorno. Il nostro servizio consentiva agli ammalati di assistere alle varie funzioni religiose che si tenevano sul piazzale, davanti alla grotta delle apparizioni della Madonna.
La Santa Messa veniva celebrata al mattino, al pomeriggio alcuni ammalati venivano portati alle vasche e quindi immersi nelle acque gelide e miracolose.
Ricordo che anch’io fui immerso in una di queste vasche, aiutato dai miei fratelli Rovers e tra gli altri c’era il mio carissimo amico fraterno Adriano Mauri.
A proposito di queste esperienze di Lourdes, sarei felice se alcuni di voi, faccio qualche nome: Mauro Guerrieri, Gottardo Lavarello, Adriano Mauri e tanti altri, scrivessero qualche cosa sull’argomento.
Ma ora è giunto il momento di ringraziare coloro che dettero inizio a questa bellissima storia.
Essi sono quelli che io considero gli anelli di congiunzione di una immaginaria catena d’amore: la mia amata sorella Gianna, la sua ed ora anche mia carissima amica Cristina Colombo. Quest’ultima, dopo avermi iscritto alla scuola d’arte, si rivolse al suo amico Rover Pietro Lazagna il quale, insieme a voi scouts, organizzò (nel lontano 1958) i turni che mi permisero di frequentare la scuola d’arte; da qui ebbe inizio la mia grande avventura con voi.
Come dicevo all’inizio di queste mie semplici righe, il vostro aiuto si è dimostrato determinante per la realizzazione dei miei sogni. Sono diventato un buon grafico frequentando la scuola d’arte professionale, questo mi ha permesso di guadagnarmi da vivere e qui è necessario un doveroso ringraziamento al mio fraterno amico Rover Alfredo Vitali, che mi fece assumere nella Casa Editrice di suo padre.
Dopo molti anni di studio e tanto lavoro, sono riuscito a fare tante mostre, sia a Genova che in altre città, ricevendo molti riconoscimenti e premi dalla critica.
Forse, dopo tutti questi successi, posso ritenermi un buon pittore. Questo è un altro sogno che si è avverato!
Infine non mi rimane che ringraziare il mio carissimo e fraterno amico Padre Giacomo Grasso poiché, con la sua intercessione, fece sì che il matrimonio con la mia amata e preziosissima moglie Silvana venisse celebrato da Padre Marco Voerzio (anno 1990).
Questo è stato per me un grande privilegio ed un altro sogno che è diventato realtà.
Termino con questa mia riflessione: un ragazzo che sembrava nato sotto una cattiva stella, grazie all’aiuto di tante meravigliose persone, è diventato un uomo felice e sereno.
 
Con affetto
Giorgio Spano
 
 Giorgio Spano è lieto di presentare alcune delle sue opere più recenti che sono il frutto del lavoro di molti anni di studio.

 

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