I ricordi di Emilio

In occasione del 50° della morte di Pier Luigi, Emilio Fadda ha ricordato con lui anche alcuni dei nostri maestri. Lo  ha fatto nel pomeriggio, sul prato dei Certosini, con tutti noi in cerchio .... ma seduti su comode seggiole .......

I ricordi personali di Emilio su Pier Luigi li puoi trovare nella Sezione Pier Luigi - Certosini

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"Cercando di ricuperare nella mia memoria qualche ricordo non solo di Pierluigi, ma anche dell’ambiente in cui chi ha avuto l’opportunità di conoscerlo lo ha  frequentato, in particolare nell’ambiente scout, mi sono venuti in mente i vari assistenti che si sono succeduti nel Gruppo 26° e, successivamente nel 30°, di cui Pierluigi ha fatto parte.

 Non ricordo se fosse venuto a contatto con Don Orengo, primo assistente del 26° di cui io, entrato nel gruppo nel 1947, conservo memoria.

 Si trattava di un assistente che svolgeva la sua attività sacerdotale a Pontedecimo e che, quindi, aveva difficoltà a seguire il gruppo con sede in Castelletto: si trattava di un uomo grande e grosso (scherzosamente lo chiamavamo infatti don Orango, storpiandone il nome), sopravvissuto ad un campo di concentramento in Germania di cui descriveva gli orrori con molta discrezione; sempre pronto ad affrontare lunghe e faticose camminate, molto legato al territorio di Pontedecimo e, in particolare, ai Piani di Praglia.

 Dopo di lui fu chiamato a prestare assistenza al gruppo Don Gino Bernardi: uomo sempre sorridente ed allegro, il quale condivideva le fatiche e le difficoltà delle nostre attività, soprattutto in occasione dei campi estivi, ai quali partecipava con grande entusiasmo ed impegno, procurandoci anche il veicolo di trasporto per il trasferimento di tutto il materiale necessario per l’installazione del campo, oltre ai nostri zaini e cioè un camion (se non ricordo male si trattava di un Fiat 666) di un’impresa di costruzioni .

   Conservo di Don Gino un ricordo del tutto particolare in quanto, dopo che gli era stata assegnata un’abitazione sulle alture del Righi, in cui viveva con la Mamma, al mattino della domenica ero solito andare a casa sua per assisterlo nella celebrazione della Mesa nella piccola cappella annessa all’abitazione, tanto da essere da lui qualificato come suo diacono.

 Tutti quelli che l’hanno conosciuto ricorderanno senz’altro la sua filastrocca “peccatori all’erta all’erta, ché la morte è cosa certa; quanto è il nostro viver corto: oggi vivo e doman morto”: allora la prendevamo poco sul serio mentre attualmente guardiamo ad essa con una certa preoccupazione.

 Non ricordo più i motivi per cui Don Gino lasciò l’incarico di assistente del Gruppo: ricordo invece che al suo posto arrivò da Santa Maria di Castello, nella sua veste bianca e nera, uno svolazzante domenicano, carico di energia e di entusiasmo, oltre che di grande cultura storica, biblica e teologica, e cioè Padre Marco Voerzio.

 Ho riguardato in questi giorni una sua pubblicazione dedicata a Frate Guglielmo da Tripoli, orientalista domenicano del secolo XIII e la ricchezza delle citazioni bibliografiche e delle note dell’opuscolo testimoniano eloquentemente la profondità e l’accuratezza della sua ricerca.

 Padre Voerzio (o, meglio, Padre Marco come tutti noi lo conoscevamo e lo chiamavamo) fu una grande scoperta ed un travolgente trascinatore anche sotto il profilo sportivo, come grande camminatore e infaticabile scalatore.

 Come non ricordare anche Padre Cassiano da Langasco: i suoi occhi cerulei denunciavano immediatamente la sua dolcezza e la sua bontà, cui si accompagnava peraltro una grande fermezza, come confermato dalle ripetute conferme alla carica di provinciale dell’Ordine dei Cappuccini.

 Di lui ricordo in particolare la ricca biblioteca annessa alla Chiesa di Santa Caterina che mi fece visitare; ricordo i cuoi studi agiografici; ricordo il termine un po’ arcaico di “radunanza” da lui usato in luogo di quello più comune di “riunione”, ricordo il Convento di Monterosso e il pranzo consumato nel refettorio del convento, assieme ai frati cappuccini, quando mi pregò di aiutarlo a risolvere alcuni problemi giuridici (mi pare si trattasse di un problema di distanze) in cui il Convento era stato coinvolto.

 Accanto a lui ricordo anche Padre Gaspare da Ovada, assistente del Clan 30° e succeduto a Padre Cassiano, da lui completamente diverso, essendo piuttosto ruvido ed immediato, ma entusiasta di accompagnare il nostro cammino, affrontando anche i disagi delle attività esterne.

 Accanto a questi Cappuccini ricordo con particolare simpatia anche Padre Lucio del Basso, proveniente dalla Chiesa di San Filippo, dotato di un umorismo tipicamente anglosassone e di un’accentuata spiritualità.

 Il suo aspetto esile nascondeva in realtà una resistenza imprevedibile e mi colpiva molto il modo con cui si trasfigurava completamente durante la Messa, come se avesse un contatto diretto, concreto e reale.